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‘Ndrangheta stragista, annullate le condanne di Graviano e Filippone: appello da rifare

Annullamento con rinvio della sentenza per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo

Pubblicato il: 16/12/2024 – 22:59
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‘Ndrangheta stragista, annullate le condanne di Graviano e Filippone: appello da rifare

ROMA Annullamento con rinvio della sentenza per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi in un agguato il 18 gennaio 1994 lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, a Scilla, e per gli attentati di fine 1993, ai danni di altre due pattuglie dell’Arma. Si è concluso così, davanti alla Sesta sezione della Corte di Cassazione presieduta da Pierluigi Di Stefano, il processo ‘Ndrangheta stragista nei confronti del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto della cosca Piromalli di Gioia Tauro, condannati all’ergastolo nel 2023 dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria. 
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso solo per un capo di imputazione contestato a Rocco Santo Filippone che era sotto processo anche per associazione mafiosa. La sua condanna, solo per questo reato a 18 anni di carcere, diventa così definitiva. Occorrerà leggere le motivazioni della Suprema Corte per capire il perché non ha retto l’impianto accusatorio del processo “‘Ndrangheta stragista”, nato da un’inchiesta coordinata dal procuratore Giuseppe Lombardo sugli attentati ai carabinieri consumati in Calabria.

La strategia stragista

Quello contestato al boss di Brancaccio e all’esponente della cosca Piromalli è un agguato rientrante nelle cosiddette “stragi continentali” che hanno insanguinato l’Italia all’inizio degli anni Novanta. Nelle motivazioni della sentenza della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, i giudici, condividendo l’impianto accusatorio sostenuto dai pubblici ministeri Giuseppe Lombardo e Walter Ignazitto hanno sottolineato l’esistenza di «accertati intrecci che negli anni si sono dipanati tra organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici». Rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa nostra «tema centrale», – per i giudici – necessario per apprezzare il contesto nel quale sono maturati i fatti in esame, che è «costituito dagli accertati, risalenti, numerosissimi rapporti coltivati nell’arco di decenni dalle due organizzazioni criminali, concretizzatisi nello scambio di favori sia in ambito di traffici di armi e droga che in contesti maggiormente espressivi di potere criminale, che hanno definitivamente cementato gli obiettivi comuni delle stesse, tesi a condizionare e piegare la stessa vita dello Stato ai loro desiderata e ad insinuarsi nelle strutture istituzionali, occupando le stesse». «Altro esito indubbio – hanno scritto i giudici – che il presente giudizio ha consegnato è costituito dagli accertati intrecci che negli anni si sono dipanati tra organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici, in una evidente convergenza e commistione di interessi che mirava al comune intento di destabilizzare lo Stato e sostituire la vecchia classe dirigente che, agli occhi dei predetti, non aveva soddisfatto i loro “desiderata”». L’organizzazione criminale calabrese, secondo la Procura reggina, «agì, attraverso le sue componenti apicali, d’intesa con quella siciliana» segnando per sempre la storia d’Italia con la strategia stragista. Secondo l’accusa un doppio filo legava alcuni esponenti di spicco di ‘ndrangheta e Cosa nostra. «Un legame strettissimo con l’organizzazione criminale siciliana di cui Graviano è protagonista» rappresentato anche da quelle che il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese ha definito «doppie affiliazioni», con riferimento a «Paolo De Stefano, Peppe e Mommo Piromalli, Nino Pesce, Pino Mammoliti, Luigi Mancuso, Pino Piromalli, Nino Molè, Nino Gangemi, qualcuno degli Alvaro». «Questi soggetti – aveva raccontato Bruzzese nel corso della sua testimonianza – avevano un ruolo di vertice apicale anche nella mafia». 

Il ruolo di Graviano e Filippone

«La forza dei Piromalli e dei De Stefano scaturisce dalla vittoria della prima guerra di ‘ndrangheta, del 1974, a Reggio Calabria, contro il boss Mico Tripodo, e trasformano la ‘ndrangheta in quel mostro criminale che è oggi. In tal senso esistono riscontri non solo fattuali, ma storici e logici», come sottolineato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo durante la requisitoria. E c’è un momento in cui la strategia organizzativa della ‘ndrangheta cambia «a seguito del summit di Montalto, in Aspromonte, dell’autunno del 1969, nominando persone di strettissima fiducia al posto loro». Entra dunque in gioco, secondo Lombardo, la figura di Rocco Santo Filippone, che diventa «l’anello di congiunzione tra sodalizi ed esecutori materiali, il perno attorno a cui ruota la strategia stragista». (ma.ri.)

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