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IL CONTRIBUTO

«Anche in Calabria ci può essere speranza e futuro»

Italia spaccata, a due velocità. Calabria irreversibile fanalino di coda del Paese, tra rischio dafault sanitario e pronunciamenti ambiziosi, ma velleitari, di portarla fuori dalle secche, con teo…

Pubblicato il: 02/01/2025 – 17:55
di Giovanni Iaquinta*
«Anche in Calabria ci può essere speranza e futuro»

Italia spaccata, a due velocità. Calabria irreversibile fanalino di coda del Paese, tra rischio dafault sanitario e pronunciamenti ambiziosi, ma velleitari, di portarla fuori dalle secche, con teorizzazioni demagogiche di rivoluzione sanitaria: è l’ombra perentoria, diventata ormai permanente, che alimenta, da sempre, una gravissima mistica e un coacervo di pregiudizi sulla natura complessa, i ritardi, le evidenti contraddizioni del mondo sanitario calabrese, esposto a sperequazioni strutturali, ritardi, inefficienza di tante gestioni, risorse dilapidate e affidate all’improvvisazione o ai fiumi di clientele, a centri di potere per alimentare clientelismo di basso lignaggio. È una fotografia che alimenta, sul piano nazionale, lo stereotipo sull’irreversibilità della questione sanitaria nella nostra regione, con esiti prevedibilmente disastrosi nella stima dell’immaginario collettivo e nelle reali possibilità di cura del cittadino, se si aggiungono altri processi in atto, nazionali e sovranazionali, relativi a politiche di privatizzazione, con tagli progressivi della sanità pubblica – destabilizzati anche i LEA -, pareggio di bilancio rivendicato come un mantra e gravissime ripercussioni sulle reali, costituzionali possibilità di cura del cittadino. A fare da sfondo, un clima conflittuale determinato dall’accentuata disparità che insiste nelle realtà territoriali, che fa lievitare le disuguaglianze e condiziona pesantemente l’accesso alla cure, se si osserva il livello e lo stato delle strutture tra realtà urbane e comuni dell’entroterra, in particolare montani, che significa percorrere distanze pericolose, in caso di necessità di assistenza, soprattutto di emergenza-urgenza. Un quadro accidentato, insomma. Sinistro, che evidenzia una frattura onerosa, deprecabile, operata da sciacallaggio gestionale e deplorevoli azioni pluriennali di dissipazione di fondi comunitari e risorse pubbliche, ordinarietà degli sprechi, insufficienza palese delle risorse professionali e carenza delle strutture necessarie, non adeguate o datate. E il risultato del ricorso eterno al commissariamento della sanità regionale e al contestuale Piano di rientro per il debito pesantissimo maturato. Gli effetti collaterali di questa perseverante miopia portano in direzione dell’alimentazione di una sclerotizzata corsa al massacro, di una generalizzazione al negativo, semplicistica e persino banale, di ambienti, luoghi, persone. Che porta, sebbene ci sia un assoluto bisogno in loco di alte specialità e professionalità di altrettanto spessore scientifico, alla conseguenza più elementare e prevedibile, ancorché preoccupante e gravissima: la fuga dei professionisti sanitari, che sembra stroncare in partenza ogni speranza di inversione di marcia; nonché all’emigrazione sanitaria, che spoglia la Calabria e ingrossa il PIL di altre regioni, consuetudine ormai entrata quasi a regime. Non è questa il luogo né un osservatorio per ribadire impressioni su sanità pubblica e privata, pianificazione e gestione delle politiche sanitarie, di riorganizzazione della medicina del territorio, della garanzia dei LEA, di esigenza di maggiore equità in termini di accesso alle cure, di diritto costituzionale alla salute. È, invece, un ragionamento funzionale a dare senso alla mia esperienza sanitaria, che può diventare sintomatica della realtà vera e non virtuale, contribuendo all’abbattimento di un pregiudizio sulla sanità pubblica e per scorgere in essa piccoli incubatori di ottimismo e di speranza, tesaurizzando l’esistente. La narrazione: mio figlio Jacopo, cinque anni, ha problemi alle tonsille e alle adenoidi. Comincio a documentarmi e a studiare il problema, assai diffuso, anche se non sono un medico e la mia professione è un’altra. A un certo punto, resto prigioniero della dialettica tra le due scuole di pensiero, approccio terapeutico-curativo, cioè, o alternativa chirurgica. Con onestà intellettuale, ammetto che non lascio nulla di intentato per scongiurare la seconda opzione. Raramente ha febbre o sindromi derivanti da infezioni fisiologiche, rispetto al caso clinico conclamato. E comincio a frequentare medici accreditati, tutti unanimi nel responso: occorre intervenire. Insisto con pervicacia, e il mare, già consueto, diventa casa mia. Stanziali alla ricerca dei benefici dell’acqua salata e dello iodio a dosi massicce, fino all’inverosimile. Alla fine della corsa stagionale mi illudo, il riscontro auspicato e ricercato sembra fare capolino. Il bambino sta meglio, infatti, ma l’autunno non tarda a venire, ci risiamo. Si ripresenta la sintomatologia,  il quadro classico in tutta la sua evidenza e forza. Quarto stadio che comporta serie minorazioni alla respirazione, alla crescita, al metabolismo. Diagnosi impietosa che mi certificano tre specialisti diversi. Calabresi, di Cosenza e non solo, tutti seri e preparati.      La situazione fortemente ostruttiva si affronta imprescindibilmente con il ricorso all’intervento chirurgico, considerato, con profluvio di luoghi comuni e superficialità, di routine, ordinario. Per onestà intellettuale, lo ammetto, non sono felice. So bene che sussistono sempre dei rischi correlatati. Ci affrettiamo, allora, per capire dove dovessimo portare il bambino. Attingendo a conoscenze di amici comuni del complesso universo sanitario italiano, cominciano, così, quelle panoramiche informative che passano al setaccio le migliori strutture nazionali. Ma deliberatamente scegliamo il presidio ospedaliero “Annunziata”, di Cosenza. Reparto U.O. Otorinolaringoiatria, per mia scelta, sulla base di corpose referenze acquisite, sottopongo il bimbo a visita intramoenia con il dott. Sante De Santis, Direttore facente funzioni.  Appena il tempo di sederci, senza neanche il tempo per sovrastrutture anamnestiche, e il quadro lo ha già capito in tutta la sua consistenza ed evidenza. È evidente che cerchi conferma con il contatto strumentale. Che arriva, puntuale, come i cinici esattori delle tasse.  D’emblèe, si stabilisce una connessione con un medico che mi colpisce molto. Subito. Scienza e umanità giovanile a portata di mano. Esperienza e senso pratico, tatto e sensibilità, quelle doti che non possono mai latitare in un professionista che operi in un settore così delicato, con pazienti ancora più delicati. Il percorso da fare è impietoso, ma incoraggiante. Inserimento nella lista d’attesa per la tonsillectomia e l’adenoidectomia al mio piccolo pulcino. Che guardo, senza fargli capire che me lo sto mangiando con gli occhi bagnati, perché non sa cosa lo attenda.  Il dott. De Santis mi spiega meticolosamente la procedura e quanto tempo occorrerà che passi, prima della chiamata. Si passa ai saluti, esco non proprio rilassato, ma sicuro di affidarlo a buone mani. Perite e molto serie.  Il tempo passa, le settimane si succedono. Non cerco scorciatoie, come accade spesso in ambienti provinciali meridionali, per bypassare lunghe liste d’attesa. La notte non dormo per preservare Jacopo dal rischio apnee notturne. Siamo nell’imminenza di Natale e mancano pochi giorni alla pausa – sono un docente e insegno al liceo scientifico di San Giovanni in Fiore. In Aula magna è in corso un importante convegno su un poeta locale. Un convegno gremito, che modero. A un certo punto, mi raggiunge al tavolo una mia collega, per dirmi di rispondere al telefono, perché mia moglie mi sta cercando. Ho già capito di che si tratta, sentirla è solo una conferma. L’antivigilia di Natale è il giorno previsto per l’intervento. È la cosa da farsi, accettiamo per il bene del piccolo.  Comincia, allora, il conto alla rovescia, preospedalizzazione qualche giorno prima. Poi l’appuntamento, il freddissimo appuntamento. Piove a dirotto, non dico una sola parola in tutto il percorso. Lascio Valentina con Jacopo, nel reparto, ed esco. Un’attesa che non finisce mai. Ci sono altri bambini, arriva il suo turno e lo vedo passare per il blocco operatorio. Mi guarda e alza il dito medio, come quando fa le bizze. Scoppio, crollo, vado in crisi forte. Sono in difficoltà grossa e non mi vergogno di ribadirlo. Il tempo passava lento, come in volo da Roma a Sidney, senza scalo. A un certo punto, esce il chirurgo. Il dott. De Santis mi rassicura: l’intervento è andato bene, non si poteva più aspettare. Respiro compromesso e ridottissimo. Appena il tempo per ringraziarlo e chiedo di parlare con l’anestesista. Esce la dottoressa Irene Germanò, una giovanissima professionista. Pochi minuti per parlarci e per rassicurarmi. Molto giovane, ma proprio brava, veramente molto brava. Bravissima.  La sera rientro a casa, attraversando la Sila immersa in una bufera di neve. La mattina presto riparto, un’attraversata solitaria in un deserto bianco. Torniamo a casa, Isabel e Pietro aspettano il fratello: con delicatezza, ringraziando Dio, è festa.  Ho sempre rifuggito giudizi prevenuti e le dannose fiere della prevenzione. Anche in Calabria ci può essere speranza e futuro, Sì, anche in Calabria la possibilità di curarsi può diventare concreta, non astrazione della mente affidata alla deriva di interessi spesso criminali e mafiosi. Medici come Sante De Santis e Irene Germanò continuano a fare, al meglio, il loro lavoro, anche in situazioni oggettivamente difficilissime. Con tutta la struttura, li ringrazio di cuore. Pubblicamente.

*Professore di Letteratura italiana

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