VIBO VALENTIA «Era il 2014 quando, insieme ad Antonino Patania abbiamo collocato una bottiglia incendiaria vicino ad un escavatore della ditta Restuccia che si era aggiudicata un lavoro a Maierato. Ricordo che venne da noi Gregorio Gioffrè, venne a trovare Mimmo Bonavota, e si accordarono loro due sull’estorsione che la ditta avrebbe dovuto pagarci». «Gioffrè si occupò di fare da intermediario con Domenico Bonavota anche con riferimento all’estorsione alla S.P.I.». Così Onofrio Barbieri, vibonese classe 1980 davanti ai pm della Distrettuale antimafia di Catanzaro. Decine di pagine di verbali acquisite nel processo d’appello “Rinascita-Scott”.
A proposito delle estorsioni, Barbieri ha spiegato: «Sia per Restuccia che per Levato sono stato convocato da Mimmo Bonavota il quale mi ha chiesto di andare a toccare questi due, in modo che ci dessero qualcosa». Poi i dettagli sull’attività di spaccio. «Era sempre Mimmo a darmi la droga che spacciavo, io vendevo circa 50/60 grammi di cocaina a settimana a persone varie che venivano a rifornirsi da me a Vena di lonadi, droga che a mia volta ricevevo direttamente dalle mani di Domenico Bonavota, ma so che a quest’ultimo lo stupefacente veniva fornito da Rocco Morabito di Africo».
«Lo so perché – ha raccontato ancora il pentito – alcune volte mi è capitato di recarmi personalmente da lui a prendere la cocaina con Antonino Patania per conto di Domenico Bonavota. Ricordo anche che una volta Rocco Morabito ci ha venduto due fucili da caccia che andammo a prelevare sempre io e Antonino Patania, con Francesco Fortuna che ci faceva da staffetta».
Nel suo racconto reso ai pm della Dda, il pentito spiega di aver avuto contatto con Rocco Morabito e «con il padre di questo, Leo, che è stato pure latitante. I rapporti con questi li curava direttamente Mimmo Bonavota, ma li conoscevo bene anch’io in quanto mi recavo spesso ad Africo da loro. L’ultimo viaggio che ho fatto, se non sbaglio, risale all’anno 2015». Onofrio Barbieri ha poi illustrato la portata del business legato alla droga. «Il provento di questa attività di spaccio lo tenevo interamente per me, senza dover dare nulla a Domenico Bonavota che, oltre a questo quantitativo di cocaina, mi consegnava ogni mese una somma di 1.000/1.500 euro derivanti dalle attività illecite del nostro gruppo. La stessa cifra veniva data a Francesco Fortuna che riceve ancora adesso da lui un mantenimento», spiega ancora il pentito.
Oltre alle attività di spaccio, il pentito ha anche parlato dei periodo di detenzione. I suoi, ma anche quello dei sodali Bonavota. «Nicola Bonavota si fingeva malato in carcere per uscire così come lo zio Domenico Cugliari, io ci ho provato ma non sono riuscito a farmi rimettere in libertà, mentre loro due sì». Il collaboratore racconta di una serie di condotte ed espedienti riferite all’ultimo periodo di detenzione. «Io non ci sono mai riuscito, tranne in una occasione nel 2007», racconta. In quella circostanza, infatti, «Domenico Bonavota mi mandò un pizzino tramite una guardia originaria di Arena, ora in pensione, con il quale mi indicava che tramite di Tonino Davoli era stato avvicinato un dottore di Lamezia Terme (perito nominato dal Tribunale) per farmi uscire dal carcere, cosa che poi avvenne veramente». Insomma, spiega il pentito, «facevano credere che fossero malati di depressione, si buttavano, a terra, prendevano farmaci». E ancora: «In una delle ultime detenzioni sono stato recluso nella stessa cella con Nicola Bonavota e Domenico Cugliari, i quali mi confermavano che stavano fingendo una malattia per essere scarcerati». «Puntavano a farsi prescrivere farmaci antidepressivi mentre in alcuni casi sia io che Nicola Bonavota e Domenico Cugliari, in occasione delle visite psichiatriche, assumevamo un bicchiere di acqua con del sale per alterare l’esito delle analisi». (g.curcio@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x