LAMEZIA TERME Avrebbe continuato le sue attività illecite anche dopo la scarcerazione, sfruttando «rapporti con elementi di vertice del gruppo ’ndranghetistico reggiano». Gli inquirenti della Dda di Bologna tracciano il profilo di Giuseppe Arabia, classe 1966, detto “Pino u nigru”, arrestato lo scorso 12 marzo insieme ai nipoti Nicola e Giuseppe Arabia (cl. 1989), Salvatore Spagnolo, Salvatore Messina e Giuseppe Migale Ranieri. Con il suo gruppo di «sodali» avrebbe continuato ad operare come «’ndranghetista» in Emilia-Romagna anche dopo essere stato scarcerato nel 2018.
Dalle indagini emerge come “Pino u nigru” avrebbe mantenuto rapporti con elementi dispicco della ‘ndrangheta, tra cui Giuseppe Sarcone Grande (già condannato nel processo Perseverance) e Giuseppe Strangio, oltre a conversare di «vicende di ’ndrangheta e delle sue regole di comportamento», mostrando preoccupazione per «l’aumento, in tempi recenti, di collaboratori di giustizia». Sempre nel periodo post carcere Giuseppe Arabia, insieme al suo gruppo, avrebbe «realizzato azioni violente, ritorsive e intimidatorie ai danni di terzi, adottando modalità mafiose, facenti leva sulla forza di intimidazione promanante dalla loro appartenenza criminale».
Gli inquirenti citano, come esempio, un pestaggio avvenuto ai danni di un autista e della sua compagna avvenuto nel 2017. Per il fatto in sé Giuseppe Arabia è stato già arrestato e condannato in via definitiva per lesioni gravi e minaccia grave nel 2020, insieme al figlio Salvatore Arabia e all’odierno arrestato Salvatore Spagnolo, ma – specificano gli inquirenti – nonostante non fosse stata contestata l’aggravante mafiosa, si tratta di eventi utili per «comprovare il persistere dell’agire di Giuseppe Arabia modalità mafiose derivanti dalla consapevolezza dell’appartenenza ad un sodalizio criminale». In particolare, Pinu u nigru «capeggiando un gruppo di uomini a lui fedeli» si è presentato sotto casa dell’uomo, procedendo a un violento pestaggio di lui e della compagna. Una punizione per «essersi permesso di insistere per ricevere il pagamento delle retribuzioni che Arabia da tempo non gli stava versando».
L’uomo, che in passato aveva lavorato come autista in una società «fittiziamente intestata» ma riconducibile ad Arabia, aveva preteso da quest’ultimo diversi stipendi non pagati. Lo stesso si sarebbe rifiutato di procedere ai pagamenti per via di alcune contravvenzioni che l’autista non avrebbe pagato. La notte del 24 giugno 2017 Arabia si sarebbe presentato sotto casa insieme ai suoi sodali, suonando il citofono e invitando l’uomo a scendere per strada. Qui «la lite era sfociata in un vero e proprio pestaggio», con Arabia che avrebbe gridato più volte «ti ammazzo». Anche la compagna, arrivata in soccorso dell’uomo, sarebbe stata colpita «con schiaffi e pugni e successivamente buttata a terra». Per il fatto è stata esclusa nella condanna l’aggravante mafiosa, ma per gli inquirenti «la violenza dell’aggressione è stata accompagnata dalla consapevolezza da parte dell’Arabia dell’assenza di qualsiasi rischio, confidando nella forza di intimidazione derivante dalla sua appartenenza alla consorteria di ‘ndrangheta emiliana». Emblematica è la frase che la donna, prima dell’aggressione, avrebbe sentito: «Tu no, tu cosa hai detto su di me? Tu sai chi sono io, io sono Pino Arabia». (ma.ru.)
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