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Rito dei “Vattienti”, Vito Teti: «Non è un evento folcloristico ma la rappresentazione del rapporto con la divinità» – FOTO

L’antropologo ha partecipato all’evento FAI. «Uno sguardo dall’interno che coglie aspetti spesso estranei al forestiero»

Pubblicato il: 23/03/2025 – 10:25
Rito dei “Vattienti”, Vito Teti: «Non è un evento folcloristico ma la rappresentazione del rapporto con la divinità» – FOTO

A Nocera Terinese quello dei “Vattienti è, nei fatti, uno dei tratti salienti dell’identità antropologica di un’intera comunità. «È uno dei riti identitari della Calabria, complesso, antico, ricco di simboli e con mille sfaccettature». Lo descrive così Vito Teti, l’antropologo che, negli anni, ha studiato i “Vattienti” in ogni suo aspetto. E lo ha fatto anche nel corso dell’ultimo evento organizzato dalla delegazione di Catanzaro del “FAI” nell’ex convento dei Cappuccini di Nocera Terinese per le “Giornate di primavera”.

«La presenza del sangue è stata decisiva per attirare molti forestieri dai quali era vista ed è vista come una sorta di “sacrificio”, di voto, di affidarsi al Cristo morto, alla Madonna. È in gioco, quindi, una devozione popolare che cambia nel corso degli anni ma che comunque mantiene intatta la fede di queste persone», ha spiegato Vito Teti al Corriere della Calabria. «Ci sono degli elementi spettacolari che spesso dipendono più gli equivoci dagli osservatori esterni che condizionano, con la loro presenza e con il loro sguardo non sempre attento, il comportamento dei locali, ma gli stessi locali hanno la consapevolezza di compiere un rito che è anche un dramma e quindi ha degli elementi di teatralità in senso positivo».

Per l’antropologo, dunque, la domanda da porsi è, in un periodo di grandi mutamenti e trasformazioni, di spopolamento dei paesi, di partenze e di ritorni, come questi riti siano inseriti nel contesto ambientale e culturale. «Fa bene il FAI a non limitarsi solo agli edifici, ai palazzi e ai percorsi canonici ma a soffermarsi su una manifestazione religiosa che nasce in questo contesto e che in questo contesto va spiegata e presentata agli altri nelle giuste forme e nelle giuste modalità». Come, per esempio, fa la mostra fotografica di Franco Ferlaino «dove è molto forte la presenza e lo sguardo del locale. Franco – ha sottolineato Teti – ha uno sguardo dall’interno e riesce a cogliere degli aspetti che probabilmente al forestiero sono estranei».

Anche in ragione della teatralità che caratterizza i Vattienti, è evidente che l’approccio che caratterizza chi giunge davanti ad un rito ed è forestiero probabilmente “distrae” spesso dal significato invece più intimo e interiore che tutti i riti per definizione hanno. Su questo aspetto, Vito Teti ha raccontato un aneddoto significativo. «Ho visto questa festa la prima volta alla fine degli anni ’70, ho fatto anche un documentario per la RAI. E quando giravamo osservavo la festa, a fianco a me c’era un fotografo e mi ha detto, “ecco sta arrivando il vattiente” ma, in realtà, mi mostrava il ragazzo che faceva da “Ecce Homo”, quindi ho capito subito la disinformazione, la frettolosità ma anche lo stereotipo con cui molti venivano da fuori». «Chi viene ad osservare questi riti deve capire che sta osservando qualcosa che ha a che fare con la storia, con il vissuto, con l’anima, con la mentalità e con la religione delle persone. Non sta osservando un fatto esotico, colorato, folcloristico, ma la rappresentazione che i protagonisti del rito danno della loro vita e del loro modo di rapportarsi rispetto alla divinità, al loro corpo, al vicinato. È una cosa complessa». Chi viene da fuori, «dovrebbe esercitare l’arte dell’attenzione, della cura, del rispetto, non interferire e guardare, poi dopo parlare e cercare di capire, ma non inserirsi come elemento di disturbo all’interno del rito».

C’è un ulteriore elemento che caratterizza questo rito, così come per esempio altri riti come quello di Verbicaro, ed è la necessità di coniugarli con le forme proprie della religione cattolica e delle direttive della Chiesa. E, sui Vattienti, l’interpretazione, la lettura e la “compatibilità”, non è sempre stata lineare.
Pe Vito Teti «il rapporto tra Chiesa, manifestazioni popolari, culti che hanno una loro spettacolarità, organizzatori di questi riti, le congreghe, non è stato mai pacifico. C’è stato sempre un tentativo della Chiesa di ricondurre questi riti a una sorta di ufficialità, di normalità, che in qualche modo i locali non sempre hanno capito, perché era considerato come un modo di intervenire o di dare le regole su una cosa che era stata elaborata e creata nel corso dei secoli». Anzi, anche a Nocera abbiamo visto che «quando la Chiesa è intervenuta in maniera più pesante, a volte per vietare il rito, i vattienti o uscivano da soli, o l’anno successivo aumentavano di numero». «Questo vuol dire che la comunità sente così raccontata e rappresentata, anche chi non partecipa direttamente al rito, da questa manifestazione che ogni tentativo di condizionarlo o di addomesticarlo viene rifiutato». «La Chiesa oggi può porre degli interrogativi, incontrare le persone e può cercare di capire questi riti ma, d’altra parte, non dobbiamo dimenticare che i riti secolari vanno trattati con la giusta intenzione, anche perché, se elimini il lato cerimoniale, rituale e spettacolare, alla fine che cosa resta? Non resta nulla». (redazione@corrierecal.it)

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