CATAZNARO Nel saggio “Tra individui e cose”, del ’95, il filosofo Maurizio Iacono rifletteva, tra l’altro, sulla perdita di memoria causata dall’incedere del capitalismo spinto, invasivo, illimitato. Oggi, a 30 anni da quello scritto, la memoria umana è quasi disattivata: sempre meno sorretta dalle emozioni e trasferita in blocco nei nuovi supporti della tecnologia. Così, tutto – o quasi – si perde nell’indistinto: i ricordi, la storia, le azioni individuali e i loro contesti.
Viviamo in un mondo di notizie, di messaggi fulminei che arrivano nei nostri smartphone e spesso inducono reazioni di sdegno oppure sensazioni di paura e di impotenza. Manca – perché non è dato – il tempo di analizzare, di leggere le informazioni quotidiane in rapporto al passato e al futuro. Succede in ogni ambito umano, dalla scienza al fisco, dal meteo alla politica, con grande confusione e l’effetto di una sfiducia crescente verso le istituzioni. La memoria, però, ci aiuta a orientarci, soprattutto nella partecipazione alla vita pubblica e nel recupero della politica come strumento trasformativo e rigenerativo dei territori.
Mi ha alquanto colpito la candidatura di Doris Lo Moro, vera signora della politica, a sindaco di Lamezia Terme, città cui mi sento vicino per tre ragioni: dal suo aeroporto partivano ogni fine estate i miei genitori, per motivi di salute emigrati a Bergamo e lì infine morti; a Lamezia ho carissimi amici (di sinistra, centro e destra) e peraltro ha sede la redazione del Corriere della Calabria, testata per cui scrivo da parecchio e che mi ha permesso di approfondire in piena libertà temi regionali, nazionali, esistenziali e finanche di politica estera. Per questo, non di rado sono stato a Lamezia e ho girato, osservato, ascoltato, raccolto testimonianze, lamentele, desideri e opinioni sullo stato dei servizi locali, specie della sanità e dei trasporti, come sul ruolo, sul peso della città, al centro della Calabria ma in stato di notevole abbandono, se non di manifesto, innegabile degrado. Quando ho letto della candidatura di Lo Moro, che oggi ha presentato a Lamezia Terme il suo punto di ascolto, ho pensato al periodo dell’intenso attivismo antimafia di tanti giovani della Calabria: dall’assassinio di Franco Fortugno, avvenuto il 16 ottobre 2005, alla strage di Duisburg, del 15 agosto 2007, e un po’ più avanti.
Nel settembre 2007, pubblicai con Saverio Alessio La società sparente, libro che raccontava il dominio economico e culturale della ’ndrangheta e metteva pesantemente in discussione la politica calabrese, oggetto di critiche e contestazioni, anche feroci, da parte della stampa nazionale. Allora i social erano in embrione e la classe politica si poneva, in generale, con deciso distacco rispetto ai ragazzi, che ai decisori pubblici chiedevano legalità, trasparenza, autonomia, coraggio e dialogo. Vedevamo il Palazzo come luogo inaccessibile, come una specie di castello medievale chiuso ai comuni mortali, operativo per pure ragioni di potere ma nel complesso inefficiente e, quale aggravante, sordo rispetto ai problemi, alle istanze e alle proposte dei cittadini; in particolare delle nuove generazioni.
C’erano però delle eccezioni, nel nostro immaginario giovanile: Angela Napoli, deputata in prima linea contro le mafie; Doris Lo Moro, assessore regionale alla Sanità; Roberto Occhiuto, all’epoca vicepresidente del Consiglio regionale. Erano gli esponenti politici che, insieme a pochi altri, parlavano con i giornalisti e con noi ragazzi, che capivano la nostra indignazione e il bisogno, che manifestavamo, di confronto sulle scelte politiche al di là di bandiere, militanze e appartenenze.
Napoli, proveniente dalla destra sociale, e Gianni Vattimo, già europarlamentare dei Ds, firmarono le prefazioni di quel volume. Nella sua, l’allora deputata calabrese inquadrò il contesto regionale: «Nessuno spazio – scrisse – per uno sviluppo economico equilibrato, per l’affermazione della meritocrazia, per la responsabilità, per il dovere, per la promozione culturale e del sapere». E aggiunse: «Dobbiamo riuscire a scuotere le nostre coscienze, acquisire responsabilità, severità comportamentale, rigorosa rettitudine e rispetto della legalità e rimettere in cammino la speranza di un territorio che ha bisogno di tenere per sé e garantire i suoi figli migliori». Quelle parole, condivise da tanti, non soltanto giovani, rimangono di estrema attualità, in Calabria.
Ai tempi, Alberto Custodero, giornalista del quotidiano la Repubblica, definì La società sparente «la bibbia dei ragazzi calabresi in lotta contro la ’ndrangheta». Di là dal giudizio in questione, per noi autori lusinghiero ma del tutto immeritato, Custodero aveva colto un aspetto fondamentale: i ragazzi calabresi dell’antimafia civile avevano come interlocutori politici delle persone – non delle organizzazioni –, le quali avevano mostrato autonomia, libertà e responsabilità pubblica, anche in dissenso rispetto ai rispettivi partiti.
Tra quelle persone c’era proprio Doris Lo Moro, già sindaco di Lamezia Terme e magistrato che aveva subito l’uccisione del padre e di un fratello da parte della ’ndrangheta. All’epoca, da assessore regionale alla sanità, Lo Moro aveva affermato senza timore: «La sanità per troppo tempo è stata il luogo delle assunzioni clientelari, in cui si è orientato il concorso da espletare in dipendenza delle caratteristiche della persona da assumere. L’eccesso di personale, con personale amministrativo in esubero in alcune aziende e personale sanitario abbondante in altre, salvo gravi carenze in settori non coperti e ipotesi di imboscamento da cui è difficile rientrare, è il prodotto di una politica sbagliata che ha messo fortemente a rischio la qualità del servizio sanitario». E poi aveva chiarito: «Anche il problema delle situazioni debitorie delle aziende in cui vengono accertate infiltrazioni mafiose non può essere affrontato solo con fondi della sanità. Bisogna coinvolgere in tale direzione, secondo un percorso peraltro già avviato, altri ministeri, e segnatamente il ministero dell’Interno». Il resto è storia, Lo Moro ha poi percorso altre strade, con due legislature in Parlamento e importanti incarichi pubblici, ma non ha avuto modo di spendere la sua intelligenza e la sua sensibilità nel territorio calabrese.
Per inciso, non la vedo da quasi 18 anni, ma non ho dimenticato la sua capacità di ascolto dei ragazzi, la sua totale mancanza di doppiezza, la sua passione per la legalità e il suo amore per la Calabria, che ho visto in pochi altri politici, tra cui Angela Napoli. Sono dunque convinto che, per il futuro di Lamezia Terme, Lo Moro possa essere la figura giusta, anche in virtù della libertà di manovra che può avere, visto che non ha bisogno di cercare consenso o utilità personali. Semmai, Doris ha l’esigenza di lasciare un segno profondo. Non soltanto, come doveroso, ai lametini, ma anche alla mia generazione, non più giovane ma ancora memore della storia politica, calabrese, del XXI secolo. (redazione@corrierecal.it)
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