Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo dei cinque decreti del Presidente della Repubblica di indizione di altrettanti referendum abrogativi (con i relativi comizi convocati per domenica 8 e lunedì 9 giugno) e con il decreto del Ministero dell’Interno del 24 marzo che fissa per domenica 25 e lunedì 26 maggio (con turno di ballottaggio per l’ 8 e 9 giugno) le consultazioni per l’elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, torna l’odiata (o di sicuro mai amata) “par condicio”. La legge del 2000 n.28 che impone alle pubbliche amministrazioni, anche a quelle non coinvolte dal voto, il divieto di comunicazione istituzionale fino alla chiusura delle operazioni elettorali.
Più esattamente (art.9): si fa divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione, «a eccezione di quelle effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni». Di qui l’obbligo per i comunicatori di stilare note-stampa che, senza i nomi di chi fa una dichiarazione o assume nell’esercizio delle sue prerogative un’iniziativa, producono un effetto straniante. Quasi esilarante. E poi: chi è in grado di valutare se la comunicazione di una pubblica amministrazione abbia finalità propagandistiche e dunque violi la par condicio, o rientri nel corretto esercizio delle funzioni e realizzi il diritto dei cittadini a essere informati? Sarebbe sufficiente (e più rispettoso dell’intelligenza dei cittadini) sostituire (come proposto dal coordinamento degli Uffici Stampa della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali) l’art. 9 della legge 28, con la seguente espressione: «Nel periodo di applicazione della legge, sono sempre garantite le attività di informazione e comunicazione istituzionale nel rispetto dei principi dell’imparzialità e del pluralismo». E no, troppo semplice! In Italia ci piace ingarbugliare, anziché badare all’arrosto.
Così, a intervalli brevi e regolari, non si contando i vademecum proposti dai Corecom (gli organi di governo, garanzia e controllo sul sistema delle comunicazioni in ambito regionale), per consentire «un’azione efficace di divulgazione e di informazione sui principi e sulle regole della comunicazione istituzionale e sulla par condicio allo scopo di favorire il libero e corretto svolgimento della campagna elettorale, nell’interesse generale dei cittadini, i quali hanno il diritto di formare il proprio convincimento politico in piena coscienza e conoscenza». Se inoltre si aggiunge che in Italia si è continuamente in campagna elettorale, l’altro effetto dell’immarcescibile e inespugnabile ‘par condicio” è di comprimere stabilmente la comunicazione pubblica e, insieme, il diritto del cittadino ad avere un’informazione completa e plurale. Infine, fa un certo effetto notare che al tempo della rivoluzione informatica e biotecnologica surriscaldata dall’AI generativa, per capire quel che accade bisogna ricorrere a Plutarco. Quando scriveva “Irretit muscas, trasmittit aranea vespas”.
Infatti, mentre si pongono freni irragionevoli alla comunicazione pubblica, si stenta a fare rispettare alle piattaforme digitali i divieti e gli obblighi previsti dalla normativa vigente, per assicurare il rispetto di regole basilari al flusso ininterrotto di comunicazioni che riempie l’oceano della realtà virtuale dove i cittadini sono quotidianamente dislocati e dove, per innumerevoli ore al giorno, si bevono propagande politiche illimitate e in cui spadroneggiano news grossolanamente contraffate. Cosicché, un Paese in ritardo nell’adeguare norme e strumenti a tutela della verità sostanziale dei fatti, lascia che nella tela del ragno finiscano le mosche, come scriveva l’autore delle “Vite parallele”, mentre si lasciano scappare le vespe.
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