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Quella perversa voglia di forca

La sentenza per l’omicidio di Giulia Cecchettin ha suscitato critiche e indignazione sui social perché la corte di assise pur in presenza di 75 coltellate non ha riconosciuto l’aggravante della cr…

Pubblicato il: 10/04/2025 – 13:12
di Mario Campanella
Quella perversa voglia di forca

La sentenza per l’omicidio di Giulia Cecchettin ha suscitato critiche e indignazione sui social perché la corte di assise pur in presenza di 75 coltellate non ha riconosciuto l’aggravante della crudeltà.
Eppure, Filippo Turetta ha avuto l’ergastolo con una serie di motivazioni che negano le attenuanti generiche e che resisteranno certamente nei successivi gradi di giudizio.
Quello che perplime è l’odio social che puntualmente si esprime, seppure in presenza di un omicidio efferato.
Certo, nessuno ci restituirà Giulia, vittima innocente.
E proprio il padre, uomo di grande dignità, ha sempre chiesto giustizia, riuscendo a sopportare un dolore atroce.
Ma per i social nemmeno l’ergastolo basta.
Moltissimi puntualmente invocano la pena di morte, probabilmente per una giusta identificazione con Giulia e i suoi familiari.
Ma la pena di morte è uno strumento arcaico e incivile. Un modo triviale in cui lo Stato uccide una persona perché ha ucciso.
Non serve come deterrente, e lo si è visto negli Stati Uniti. Spesso in coincidenza con persone del tutto innocenti ha visto, da Sacco e Vanzetti a tanti altri, condannare alla morte persone senza colpa.
L’ergastolo è la giusta pena per un delitto del genere. Ma guai a sperare che il giovane Turetta possa rinascere a una nuova vita. Ciò che la nostra Costituzione contempla viene contestato da chi poi si professa democratico e liberale.
Eppure il carcere dovrebbe essere un luogo di recupero. Lo è stato per tanta gente. Ma la voglia di forca è più forte. Se è vero che nessuno potrà ridarci Giulia è altrettanto vero che la differenza tra uno Stato liberale e le mafie sta nell’applicare giustizia e non vendetta. Ed è quello che Giulia e tante altre donne meritano.

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