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‘Ndrangheta, le chiamate dal carcere di Luigi Federici e l’ordine di «buttare» il fucile nascosto

Condannato a 25 anni di carcere in Rinascita Scott, il giovane rampollo si sarebbe mostrato preoccupato per i nuovi collaboratori di giustizia

Pubblicato il: 12/04/2025 – 18:23
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‘Ndrangheta, le chiamate dal carcere di Luigi Federici e l’ordine di «buttare» il fucile nascosto

VIBO VALENTIA Quasi 2 mila chiamate nell’arco di tre mesi: c’è anche Luigi Federici, condannato in primo grado in Rinascita Scott a 25 anni di carcere, tra gli indagati nell’ultima operazione della Guardia di Finanza, coordinata dalla Dda e condotta tra Catanzaro e Vibo Valentia. Nel mirino alcuni presunti esponenti della ‘ndrangheta vibonese che avrebbero mantenuto contatti con l’esterno dal carcere, grazie anche al sostegno dei parenti. Tra di loro, oltre ad Antonio La Rosa, ritenuto a capo dell’omonimo clan di Tropea, anche Federici, 26enne con il quale lo stesso La Rosa ha condiviso il carcere nel primo periodo di detenzione post Rinascita Scott.

La condanna a 25 anni di carcere in Rinascita Scott

Ritenuto appartenente alla ‘ndrina dei Pardea Ranisi, Federici è stato condannato nel primo grado di Rinascita Scott per i reati di associazione mafiosa, danneggiamenti ed armi. Secondo gli inquirenti farebbe parte del gruppo delle «nuove leve» della ‘ndrangheta vibonese, riconducibile a Salvatore Morelli, insieme a Domenico Camillò alias “u manganu” (condannato a 26 anni) e Loris Palmisano (14 anni). Da quanto emerso dall’inchiesta “Call me” Federici avrebbe continuato a far parte del sodalizio criminale anche successivamente all’arresto tramite le chiamate illecite da dentro la cella.

Le chiamate dal carcere

In particolare, gli argomenti delle conversazioni captate – si legge – «vertono sugli accadimenti fuori dal carcere, sullo scambio di informazioni in merito alle dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia e su cosa per far fronteggiare le accuse mosse, su come muoversi per eludere le investigazioni». Federici si sarebbe mostrato preoccupato dalle notizie sui nuovi collaboratori, ovvero «di tale “Sapitutto” che si è “buttato”, ovvero sia pentito» e di Michele Camillò. Avrebbe quindi chiesto ai suoi genitori di «informarsi», date le «notizie frammentarie che lui riceveva in carcere dagli altri detenuti», ma ricevendo come risposta che «al momento erano solo voci che circolavano in città». Si sarebbe mostrato particolarmente preoccupato per le propalazioni di Camillò, «atteso che entrambi facevano parte della medesima consorteria cittadina» e quindi su quanto l’ex sodale «avrebbe potuto dichiarare a suo carico».

Le parole sulla vita carceraria e la vicenda del fucile

Rilevante per gli inquirenti è la vicenda di un fucile nascosto nel garage, che lo stesso Federici, temendo le dichiarazioni di Camillò, avrebbe intimato al padre di «buttarlo», ovvero di disfarsene, facendo però riferimento a «due latte di pittura». Pochi giorni dopo la telefonata, una perquisizione dei Carabinieri all’interno dell’edificio porta al rinvenimento dell’arma. Una volta saputo, Federici avrebbe mostrato il suo disappunto dal momento «che aveva dato precise indicazioni al padre e poi gliene aveva chiesto conferma ricevendo un ‘tutto a posto’ che evidentemente non era vero». Secondo gli inquirenti «pure dal carcere Federici mantiene la sua caratura criminale cercando di smuovere situazioni e circostanze a suo favore per fronteggiare le emergenze». Anche in una conversazione riguardo la vita carceraria, «non esprime lamentele, ma quanto all’effetto della detenzione su di lui è chiaro nel dire che sarebbe uscito ’peggio dalla galera’». (ma.ru.)

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