Oltre 80 tra agrumicoltori biologici, tecnici e ricercatori si sono ritrovati lo scorso 17 aprile a Corigliano-Rossano per discutere del futuro dell’agrumicoltura di fronte alla crisi climatica. Il seminario internazionale “Agrumeti in agroecologia”, organizzato da UpBio, Abc Calabria, Rete Humus e Carpe Naturam nell’ambito del progetto Natur Bio, è stato centrato sul legame tra rigenerazione della fertilità organica dei suoli, biodiversità e giustizia sociale. Studiosi come Miguel Altieri e Clara Nichols dell’Università di Berkeley, insieme a esperti italiani come Francesco Perri, Davide Neri e Alessandra Corrado, hanno affrontato i cambiamenti in corso e le risposte possibili, partendo da pratiche già adottate in Calabria e in altre regioni a forte vocazione agrumicola. Nel corso dell’iniziativa sono emerse esperienze e proposte concrete: dalla selezione di nuove varietà agrumicole resilienti all’inserimento di colture di copertura e piante spontanee negli agrumeti, sino alle questioni dell’inclusione sociale nel lavoro agricolo. Si è parlato di agroforestazione, di suoli ricchi di humus e di filiere che coniugano qualità ambientale e dignità del lavoro. L’agroecologia è apparsa una prospettiva concreta per affrontare i problemi del clima, anche alla luce di pratiche internazionali consolidate e delle migliori esperienze locali. Ne parliamo con Maurizio Agostino, presidente di Abc Calabria, per approfondire i risultati dell’iniziativa e i prossimi sviluppi del progetto Natur Bio.
Che riscontro avete avuto in termini di partecipazione e coinvolgimento degli agrumicoltori calabresi e delle realtà locali? Si è creato un dialogo concreto tra il mondo della ricerca e quello della produzione agricola?
«Il seminario è stato partecipato da oltre 80, fra produttori agricoli e tecnici impegnati nel supporto alle aziende agricole biologiche. È stato un incontro caratterizzato dal confronto serrato fra esponenti della ricerca scientifica e della sperimentazione, agronomi e agrumicoltori biologici, da cui è derivata la volontà di interagire anche nei prossimi mesi, con ulteriori approfondimenti».
Quali sono stati i contributi più significativi emersi durante l’iniziativa, specie riguardo alla rigenerazione della fertilità organica dei suoli e alla resilienza delle colture agrumicole ai cambiamenti climatici?
«Gli spunti che sono emersi sono diversi e molto significativi, per l’agrumicoltura calabrese e del Mezzogiorno. Si è partiti dalla necessità di incrementare studi e sperimentazioni volti alla ricerca di nuove varietà, in grado di adattarsi alle condizioni ambientali mutevoli e rispondenti alle esigenze dei consumatori moderni. Si è parlato poi della indifferibile necessità che l’agrumicoltura biologica persegua un reale e tangibile miglioramento della fertilità dei suoli, con un innalzamento del tasso di humus, punto di partenza di ogni pratica agricola sostenibile. Si è poi parlato anche di incremento della biodiversità naturale dei campi, con colture di copertura, sovesci e inerbimenti controllati, come anche con la pratica dell’agroforestazione, cioè l’inserimento, negli agrumeti, di essenze vegetali “selvatiche” che possano determinare uno sviluppo di cicli biologici viventi necessari alla prevenzione delle cause di malattia delle piante e alla resistenza agli eccessi climatici. Infine, ma non per importanza, si è discusso di pratiche di inclusione sociale della manodopera, per la riqualificazione delle pratiche agroecologiche.
Il taglio internazionale dell’evento, con la presenza di studiosi provenienti dalla California, ha portato prospettive nuove rispetto all’agroecologia mediterranea? Quali parallelismi o differenze sono emersi tra i modelli di gestione agrumicola calabresi e quelli californiani?
«Nel seminario sono stati presentati casi di agrumicoltura agroecologica portate avanti in America Latina e negli Usa, in aree simili per andamento climatico. Sono stati passati in rassegna anche casi di viticoltura e orticoltura agroecologiche, con caratteristiche colturali vicine alle nostre coltivazioni. È stato importante vedere come la ricerca, la sperimentazione e la pratica colturale in altre aree del pianeta ha già raggiunto notevoli risultati in termini di difesa delle produzioni dagli stress ambientali, con una strategia basata in primo luogo sulla complessificazione degli agrosistemi e con la riqualificazione delle competenze delle maestranze agricole».
Il seminario ha affrontato anche i temi della giustizia sociale e dell’inclusione lavorativa nel settore agricolo. Quanto è sentita questa dimensione nelle realtà produttive calabresi che operano nel campo biologico?
«Il tema della legalità del lavoro agricolo e della giustizia delle relazioni sociali è molto attuale. Le realtà produttive e commerciali agrobiologiche più avanzate si confrontano giornalmente con operatori di mercato nazionali ed esteri interessati ad avere dimostrazioni concrete sulla regolarità del lavoro impiegato e sull’attuazione di pratiche di inclusione sociale finalizzate al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle comunità locali che vivono lo stesso territorio. Sono ancora un problema reale e aperto i fenomeni di caporalato e di sfruttamento dei migranti e mortificazione del lavoro agricolo in generale. All’agricoltura biologica oggi viene chiesta una capacità di dare risposte anche su questi aspetti, con esperienze concrete di integrazione e miglioramento delle relazioni umane».
Dal punto di vista comunicativo, quali sono i messaggi principali che avete voluto trasmettere con l’iniziativa?
«I cambiamenti climatici in corso mettono a rischio la tenuta degli agrosistemi. Non possiamo limitarci ad una mera sostituzione dei prodotti chimici di sintesi con prodotti ammessi in agricoltura biologica. Dobbiamo andare oltre e perseguire una strategia che avvicini i campi coltivati agli ecosistemi naturali tipici dei nostri territori. L’agroecologia ne indica la direzione. E in Calabria, una delle regioni che più ha convertito colture al metodo biologico, dobbiamo rimetterci in cammino e sperimentare metodologie nuove e attuali, in collaborazione con ricercatori e produttori che sono già avanti su questo cammino».
Quali sono le prossime tappe del progetto Natur Bio e in che modo intendete proseguire il lavoro avviato con questo appuntamento?
«Il progetto ha avviato 30 laboratori aziendali di agroecologia applicata. Nei prossimi mesi saranno ulteriormente ampliati e portati a conoscenza di altri agricoltori interessati. Ci saranno altri seminari e incontri formativi sulle altre diverse colture che interessano la nostra regione».
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