La rinascita di Limbadi, dove lo Stato ha dimostrato di essere più forte della ‘ndrangheta
Da feudo dei Mancuso a simbolo di resistenza con l’inaugurazione della Caserma e il ricordo della Chindamo. Falvo: «Un’altra Limbadi è possibile»

LIMBADI Era il feudo dei Mancuso, un paese roccaforte della ‘ndrangheta. Dove non si muoveva foglia senza il consenso di una delle famiglie più potenti della malavita calabrese. Qui avvenne il primo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose, ancora prima che venisse ideata la legge. Fu Sandro Pertini, nel 1983, a intervenire, dopo la surreale elezione a sindaco del boss latitante Francesco Mancuso. Vicoli e strade che nascondono storie di sangue, omicidi e agguati come i casi più recenti di Matteo Vinci e di Maria Chindamo, ricordata ieri a 9 anni dalla sua scomparsa in contrada Montalto. O come quello, dimenticato, di Giuseppe Loiacono, che morì a soli 6 anni sparato per “errore” da un suo coetaneo, dopo aver trovato una borsa piena di armi. Da qui è nato e si è esteso l’impero criminale dei Mancuso e, come un paradosso che sa di giustizia, oggi Limbadi diventa simbolo della rinascita e di lotta alla ‘ndrangheta.
Dove la ‘ndrangheta non fa più paura
Che Limbadi non fosse “solo” un feudo mafioso ne erano consapevoli i “paesani” e chi, anche di tanto in tanto, frequentava il paese. L’impronta della criminalità ne ha inquinato la storia millenaria e le bellezze condivise con la vicina Motta Filocastro. Così il comune vibonese è salito agli onori della cronaca nazionale solo per omicidi, per ‘ndrangheta e operazioni contro la criminalità, creando nell’immaginario collettivo una narrazione che vede il paese completamente assoggettato e in preda all’omertà. Oggi a Limbadi l’aria che si respira è diversa: chi si nasconde, chi si cela dietro alti muri e dense siepi sono proprio coloro che per anni si sono sentiti intoccabili. «La ‘ndrangheta non fa più paura» è stato il messaggio lanciato ieri da studenti e istituzioni, in occasione del ricordo di Maria Chindamo.
La “rivoluzione” di Limbadi
Una cerimonia mai così partecipata e che segue l’inaugurazione della caserma dei Carabinieri su un bene confiscato ai Mancuso avvenuta lo scorso 3 aprile. Anche in quel caso, centinaia di bandiere italiane sono sventolate in un anfiteatro pieno, di fronte al ministro dell’interno Piantedosi e alle più alte cariche dell’Arma. Lo Stato, forse colpevolmente “assente” per tanti anni, oggi qui opera non solo negli eventi occasionali, ma lo fa quotidianamente tra forze dell’ordine, magistratura e scuole. Una “rivoluzione” che parte anche dal basso, dalla società civile, da quando, in tempi non sospetti nelle vie di Limbadi camminavano giovani da tutta Italia (e dall’estero) che per settimane alloggiavano qui insieme a Libera, accolti dalla comunità come fossero parenti. Le immagini di ieri del “giardino” di Maria Chindamo pieno di giovani, cittadini e istituzioni sono una inevitabile tappa di un nuovo percorso di rinascita.
Falvo: «Fino a qualche anno fa non si poteva pronunciare la ‘ndrangheta»
Tappa e non traguardo, perché come ha sottolineato ai nostri microfoni ieri il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo, i miglioramenti ci sono ma «c’è ancora molto da fare». «Qui c’è la dimostrazione che lo Stato è più forte della criminalità organizzata. Noi speriamo che si muova quel senso e quella voglia di legalità da parte soprattutto da parte dei più giovani che devono cambiare le cose. Un’altra Limbadi è possibile, noi lo percepiamo, così come su tutta la provincia e sulla regione. La strada è ancora tanta da fare, ma negli ultimi 10 anni è stata imboccata quella giusta. È cambiato l’atteggiamento della gente, fino a qualche anno fa non si poteva nemmeno pronunciare la ‘ndrangheta. Oggi la gente partecipa a queste manifestazioni ed è un segno importante. Ora dobbiamo fare il passaggio ulteriore, quello della denuncia, della partecipazione e della testimonianza quando succede qualcosa di negativo. Per quello ancora ci vorrà un po’ di tempo, ma i primi segnali sono positivi». (ma.ru.)
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