I soldi del narcotraffico da investire su Milano. I progetti del clan Nasone-Gaietti
Il traffico di cocaina sulla Costa Viola. Il piano di Carmelo Cimarosa e Antonio Alvaro da avviare nel milanese. «Vendiamo un sacco»

REGGIO CALABRIA «Condividevano progetti di investimento dei proventi illeciti in attività economiche da avviare insieme a Milano, dove potersi stabilizzare per avviare in quella piazza un fiorente traffico di sostanze stupefacenti». Due le figure chiave: quella di Carmelo Cimarosa, considerato «il vertice dell’associazione, il promotore e il collettore delle iniziative delittuose dei sodali»; e Antonio Alvaro (cl. ’81), per il gruppo abituale fornitore della sostanza stupefacente, prevalentemente cocaina. I «progetti» dei due su piazze di spaccio del Nord Italia, oltre quelle nel territorio della Costa Viola, sono ben delineati nelle pagine delle motivazioni della sentenza emessa in secondo grado nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta “Lampetra”, che ha smantellato un’associazione criminale che aveva canali privilegiati e stabili di approvvigionamento, una fitta rete di pusher ai quali venivano impartite specifiche direttive operative, anche con riferimento agli orari “di servizio”, una clientela che era arrivata ad ammontare a «ben 400 consumatori nel comprensorio di Scilla e Bagnara».
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I progetti di Cimarosa e Alvaro
L’obiettivo era quello di «farsi strada», come emerge dalle intercettazioni tra Cimarosa e Alvaro. Per quest’ultimo – scrivono i giudici – l’utilizzo «della prima persona plurale nelle interlocuzioni con i sodali, i richiami alle cautele nelle conversazioni veicolari, i riferimenti rinvenibili nelle intercettazioni alle pregresse forniture operate in favore del gruppo, i reciproci affidamenti in ordine al proseguimento del rapporto, il ruolo di consigliori nei traffici di droga (il taglio, la vendita, l’approvvigionamento), il procacciamento di armi», sono «tutti elementi dimostrativi della piena intraneità» al sodalizio. E sono diverse le intercettazioni in cui emerge da parte di Alvaro «la consapevolezza di essere parte di un gruppo criminale». In una di queste ricordava a Cimarosa la stabilità del legame affaristico che li legava: «Siamo cristiani organizzati».
Un legame, si legge nelle motivazioni, «stabile e risalente nel tempo». Tanto che nel dicembre del 2019, quando si erano verificate problematiche nell’approvvigionamento dello stupefacente per un sequestro di una ingente quantità di cocaina effettuato presso il porto di Gioia Tauro, e per il quale l’operatività di Alvaro aveva risentito, Cimarosa evidenziava il suo disagio nel doversi rivolgere ad altri fornitori: «A me dà fastidio che devo avere a che fare con un altro». I due – scrivono i giudici – «pianificavano una comune attività di spaccio anche in territorio milanese, dove progettavano di avviare un esercizio commerciale in cui investire i loro illeciti profitti derivanti dal parallelo traffico di droga».
Cimarosa: «Un pacco in una settimana ce lo togliamo… (…) In una serata te ne togli 200, 250 grammi. Vendiamo un sacco…». Alvaro: «Noi intanto tiriamo una botta qua e ci facciamo strada. Poi, vedi che poi… (…) i soldi li investiamo noi». (m.ripolo@corrierecal.it)
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