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seconda corona urbana

Le città calabresi immaginano un futuro diverso. «Ci sono spazi ancora da definire»

«Una città non esiste da sola». Nuovi sistemi urbani per contrastare l’emorragia demografica e ipotizzare la ridistribuzione della popolazione

Pubblicato il: 11/05/2025 – 15:43
di Fabio Benincasa
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Le città calabresi immaginano un futuro diverso. «Ci sono spazi ancora da definire»

COSENZA Non ha più senso, porre una distinzione tra città e periferia, tra centri urbani a luoghi marginali ed emarginati. Le complessità dei centri, i rapporti con il territorio, i sistemi urbani sono al centro di una giornata di studi organizzata dalla Scuola Superiore di Scienze delle Amministrazioni Pubbliche dell’Unical: protagonista di una grande ricerca sulle aree interne. Pensare alle città, significa ripensare i flussi che non sono più soltanto stradali, ma corrono sulle reti. Questo offre la possibilità di pianificare nuovi modelli di sistemi urbani che siano più accoglienti per i residenti, a patto però di rendere concrete nuove forme di lavoro. Lo dice nel corso di una intervista al Corriere della Calabria, il direttore della Sssap Vincenzo Fortunato.

Ripensare le città

«Dobbiamo ragionare insieme a colleghi esperti in queste tematiche che vengono da altre università e che porteranno casi e esperienze di altri luoghi. Parliamo insieme agli amministratori e a tutte le persone che operano all’interno dei sistemi urbani, perché ormai discutere di città diventa riduttivo in un momento in cui si devono aprire, devono coinvolgere tutti gli attori della società civile: le realtà del terzo settore, il mondo della cultura, l’Università e le imprese». All’interno di questa rete, di questo network, i centri urbani sono chiamati a ripensarsi. «Quale momento migliore se non quello attuale, in cui si rinnovano i consigli comunali, i cittadini sono chiamati ad immaginare anche un futuro diverso delle città e possono dare un contributo». Il contributo offerto dalla Sssap è invece di tipo scientifico. «Non abbiamo la pretesa di dare delle soluzioni, ma quantomeno immaginare insieme dei percorsi che possano servire a riqualificare, o meglio a qualificare in modo diverso le nostre città».

Vincenzo Fortunato

La visione partecipata

Una visione diversa, partecipata, può migliorare la qualità dell’amministrazione, la vivibilità dei nostri luoghi con la possibilità per tutti i cittadini di vivere bene e vivere meglio quei territori spesso troppo intasati, troppo inquinanti, troppo popolati. Il Covid prima e i fondi del Pnrr poi «sono state due leve che sicuramente hanno segnato una svolta nel modo di attenzionare il tema della città nell’agenda pubblica. Poi sull’efficacia mi sentirei di esprimere un giudizio negativo. Il Covid ha lasciato sicuramente qualche effetto, ma spesso non di natura positiva rispetto alle soluzioni in materia di rinnovo urbano.
Stesso discorso vale per il Pnrr, molti degli interventi attivati in questa direzione non hanno avuto gli esiti sperati». E’ netto il giudizio espresso, ai nostri microfoni, da Gilda Catalano docente di sociologia urbana all’Unical.
Soluzioni semplici o semplificate non hanno, dunque, risolto nessuno degli annosi problemi del sistema urbano. In questo contesto, per la docente, la cooperazione tra comuni diventa essenziale. «Una città non esiste da sola, sia essa piccola, media o grande, le città esistono sempre in relazione alle altre, non è mai un sistema chiuso».

L’emorragia demografica e la ridistribuzione della popolazione

I numeri di molti report sul fenomeno dello spopolamento indicano chiaramente l’esistenza di un fenomeno (quasi) inarrestabile. «L’emorragia dalle grandi città va un po’ riletta, sicuramente esiste il problema dello spopolamento sia nei centri grandi e, a maggior ragione, in quelli piccoli. Però esiste anche una ridistribuzione della popolazione», sostiene Catalano. Che prosegue: «Pensiamo alla seconda corona urbana, o a quelle zone che chiamiamo suburbane o periurbane e quindi a tutto quello spazio che oggi non chiamiamo più città-campagna.
Tra lo spazio urbano e rurale «c’è una commistione di spazi, che vanno ovviamente ridefiniti. E, quindi, passiamo ad una rilettura del concetto di città e di sistema urbano. Abbiamo bisogno di riposizionare le nostre categorie anche per leggere fenomeni che sommariamente definiamo come emorragia demografica». (f.benincasa@corrierecal.it)

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