COSENZA I comizi elettorali proseguono senza sosta, non c’è giorno che l’affollato calendario dei candidati alle prossime amministrative non sia segnato da appuntamenti con il circoletto rosso. Palchi, piazze, locali e cinema: quartieri battuti angolo per angolo, centimetro per centimetro. L’appuntamento del 25 e 26 maggio, giorno in cui i cittadini dei comuni al voto saranno chiamati alle urne, si avvicina.
Reel, foto e post social impegnano i responsabili delle pagine dei candidati, a cui spetta – invece – il compito di trasferire agli elettori i punti più importanti del programma. Raramente, però, si sente parlare di lotta al crimine, degli strumenti necessari ad arginare il fenomeno mafioso, di come sia possibile sviluppare i giusti anticorpi per tenere lontani picciotti e malandrini. Eppure la ‘ndrangheta c’è e si sente, basti pensare alle recentissime operazioni che hanno visto ancora una volta la Dda attiva in un territorio particolarmente rovente come il blitz contro gli “Zingari” di Cassano allo Ionio egemoni nella Sibaritide o la cosca Labate, articolazione ‘ndranghetista egemone nel quartiere Gebbione, nella periferia sud della città dello Stretto. La ‘ndrangheta si sarà anche spostata al nord, avrà delocalizzato business e attività, ma la base resta la Calabria, la casa madre, la mamma.
Dal Tirreno allo Jonio, la mala resta ai margini dei discorsi elettorali: solo qualche fugace battuta sul contrasto al malaffare poi si passa velocemente agli attacchi rivolti ai competitor, alle rivendicazioni, alle promesse da campagna elettorale. Ritornano alla mente le parole pronunciate dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Alessandro Riello, che riferendosi al contesto mafioso imperante nella Sibaritide parla di «polveriera», di territorio segnato dalla presenza di clan evidentemente attivi. Nonostante le recenti operazioni abbiano decapitato vertici e organizzazioni, la mala resiste e si affida alle future generazioni. Qualche cane sciolto e malandrino ribelle agita invece il Tirreno Cosentino, un tempo territorio riferito e riferibile a pochi casati mafiosi, oggi trasformatosi in una enorme zona franca con vistosi vuoti di potere riempiti, sporadicamente, da spari e sangue.
«Si è guardato sempre altrove, mentre la mafia ha prosperato con continui collegamenti con le cosche considerate più potenti: quelle del Reggino e del Vibonese ma la provincia cosentina – non dobbiamo dimenticarlo – è la zona più ricca della Calabria», dice al Corriere della Calabria il professo Ercole Giap Parini.
Le fibrillazioni agitano e preoccupano, ma per fortuna aumenta il numero dei commercianti che rifiuta di piegarsi all’imposizione del pizzo anche a costo di raccogliere i cocci di un locale distrutto dalle fiamme intimidatorie o crivellato dai proiettili sparati da codardi con il volto coperto. Bene ha fatto la Distrettuale Catanzarese a porre l’accento sul coraggio di alcuni imprenditori di Cassano allo Ionio decisi a denunciare e respingere al mittente le richieste avanzate da chi – sfruttando il nome e l’appartenenza alla galassia criminale – rivendicava il diritto a riscuotere i proventi di una tassa non dovuta (ne abbiamo parlato qui). «Tante persone perbene devono trovare il coraggio di prendere le distanze dai fenomeni mafiosi», dice il procuratore facente funzione di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. Il messaggio è chiaro: bisogna parlare del fenomeno mafioso calabrese, raccontare, non tacere!
Ci sono amministrazioni che tornano al voto dopo uno scioglimento che rappresenta sicuramente uno shock per la comunità. «La criminalità organizzata mette in pericolo innanzitutto la democrazia, mette a repentaglio i criteri fondamentali – quando si infiltrano negli Enti – che sono la trasparenza e l’equo accesso alle risorse pubbliche: i cardini di una buona amministrazione», sostiene il professore Parini. «Ho l’impressione che negli ultimi decenni, ci sia quasi un’insofferenza. Pare vi sia una non volontà di tirare fuori il problema, che però poi significa tenerlo sotto il tappeto come la classica cenere». Aveva ragione Peppe Valarioti, l’intellettuale calabrese che sfidò la ‘ndrangheta urlando nomi e cognomi dei malandrini durante i comizi, ucciso per aver avuto il coraggio di denunciare, un docente modello per i suoi studenti ai quali ripeteva: «la scuola può arrivare dove la politica non arriva». (f.benincasa@corrierecal.it)
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