REGGIO CALABRIA Una egemonia criminale, quella del clan Labate, che non si ferma al quartiere Gebbione di Reggio Calabria, ma si estende a Sbarre e Ravagnese. «Gebbione… Sbarre e Ravagnese lo sai quanto fanno tutti e tre insieme?… cinquantaquattromila abitanti!», osservava a riguardo Gino Molinetti.
Al vertice dell’associazione smantellata dalle indagini della Dda di Reggio Calabria che hanno portato ieri all’arresto di quattro esponenti del clan soprannominato “Ti Mangiu”, in qualità di promotori, dirigenti e organizzatori, c’erano Michele e Francesco Salvatore Labate. Il clan è accusato di aver messo in atto danneggiamenti, intimidazioni, estorsioni, controllo delle attività economiche, «governo» e controllo della criminalità comune riconducibile alla comunità Rom insediata sul territorio della cosca. Tutte attività dimostrate dalle inchieste che hanno, negli anni colpito, il clan reggino.
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In una conversazione dell’agosto 2019 gli equilibri criminali sul territorio reggino «governato» dal clan di ‘ndrangheta Labate, veniva commentato «con un pizzico di invidia» dai fratelli Alfonso e Luigi, detto “Gino”, Molinetti, esponenti di altissimo rango della cosca De Stefano di Archi. La circostanza emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta “Malefix” riprese nell’ordinanza. «Gebbione… Sbarre e Ravagnese lo sai quanto fanno tutti e tre insieme?… cinquantaquattromila abitanti!», afferma Luigi Molinetti, mentre il fratello Alfonso sottolinea: «Perché sono tutti là sotto a Pietro Labate!». Sostanziale per ricostruire i rapporti criminali tra clan – come sottolineato anche in conferenza stampa – il contributo dei collaboratori di giustizia. E a parlare degli equilibri tra i De Stefano e i Labate è Maurizio De Carlo, che nel corso di un interrogatorio parla di rapporti di estrema solidarietà, esistenti tra la cosca di Archi e la ‘ndrina dei “Ti Mangiu”, “spingendosi sino a ipotizzare che, se nella qualità di imprenditore edile avesse avviato cantieri nella zona di Gebbione, avrebbe fruito di un eccezionale lasciapassare in ragione della sua appartenenza alla cosca amica».
«Al Gebbione non ho lavorato, però se lavoravo al Gebbione, col rapporto che hanno i Labate con i De Stefano, tra i pochi, io mazzetta non ne pagavo», ha rivelato il collaboratore di giustizia che ha anche ricordato che i Molinetti avevano chiesto il «permesso» ai Labate per l’apertura di una pescheria nel quartiere Gebbione.
Era stato, in particolare, Alfonso Molinetti cl. 95 – viene ricostruito nell’ordinanza – a provvedere in tal senso: si era effettivamente attivato solo dopo l’inizio dei lavori, ma aveva comunque reso «il doveroso ossequio alla ’ndrina del luogo» e ottenuto il pieno nulla osta.
DE CARLO: «No, gliel’hanno chiesto il permesso, dottore (…) e gli hanno detto che non c’è problema, di fare quello che vogliono (…) Sono andati da Orazio Assumma (…) era andato mio nipote Alfonso direttamente quella mattina che c ’ero io là, è partito con una bicicletta elettrica. Nei dissi ieu aundi sta iendu? Mi dissi (gli ho detto io dove stai andando?) Mi ha detto: ora vengo, vado perché abbiamo iniziato i lavori e per educazione uno va e gli chiede».
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