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nel sottobosco sociale

I tirocinanti assunti a 60anni, alle soglie della pensione

Una vita da precari e ora c’è la possibilità di essere stabilizzati: il mondo delle attese dietro la proposta dell’assessore Calabrese

Pubblicato il: 19/05/2025 – 10:42
di Lucia Serino
I tirocinanti assunti a 60anni, alle soglie della pensione

«Volevo essere un tirocinante, che non gli importa del futuro…». Precisamente un tirocinante di inclusione sociale calabrese che, nato tra il 1958 e il 1965, si vedrà finalmente riconosciuta la sua formazione con il diritto all’assunzione. Il più giovane ha sessant’anni, il più maturo, diciamo così, è a un passo dall’età della pensione. Una soddisfazione all’ultimo miglio in questo Paese da precari eterni, comitati di lotta per il lavoro, rete di disoccupati, part time aspiranti full time, determinati nel contratto e nella scelta di non mollare.
È socialmente condivisibile ma fa anche un po’ sorridere di tristezza la misura dell’assessore regionale al lavoro, Giovanni Calabrese, che ha deciso un sostegno economico per i Tis. Calabrese ha avuto solo il destino di essere l’ultimo a prendere in mano il filo di una vita strutturalmente incerta di migliaia di persone. Ed è bene che l’acronimo – Tis – resti acronimo perché chiamare tirocinanti uomini e donne over sessanta, spesso presi in carico da servizi sociali e sanitari, come se fossero neo diplomati che mettono piede in un ufficio per fare esperienza, giovani di belle speranze che possono parlare dei loro sogni alla macchinetta del caffè in una pausa di lavoro, è un’ipocrisia tutta italiana, un fantasia mentale per occultare il disagio.
I Tis non sono solo una specialità calabrese, sono il magma del sottobosco sociale del nostro Paese, il timbro su anni di “Conferenze permanenti”, tavoli sindacali, accordi e stati generali pieni di parole come reintegrazione, valorizzazione delle competenze, formazione, presa in carico, coerenza di obiettivi, reinserimento, ricollocazione, orientamento. Una summa del fallimento delle politiche sociali. Sarebbe anche interessante misurare l’impatto del loro tirocinio, cioè capire cosa hanno fatto, o meglio, per fare cosa sono stati formati. Parole che ancora ricorrono nell’appello di Calabrese agli “enti utilizzatori” (altro repertorio lessicale, ma anche qui è il burocratese amministrativo che ci delizia dalle aule parlamentari agli uffici dei mille comuni italiani aperti dalle 9 alle 13 dal lunedì al venerdì e il martedì e il giovedì anche dalle 15 alle 16,30, dovesse servirti una cosa col cavolo che ti rispondono a una mail). Gli enti utilizzatori sono per lo più i comuni ai quali l’assessore al Lavoro si rivolge per chiedere, per l’appunto, che “ognuno faccia la propria parte, manifestando entro i termini previsti la volontà di attivare percorsi di stabilizzazione”.
Il “percorso”, questa la parola usata, ancora torna un concetto dinamico dell’infinito incedere di questo corteo informe di persone fuori da qualunque collocazione, i soggetti più idonei per il Giubileo della speranza.
È sacrosanto farsi carico dello scarto sociale, come diceva il Papa che non c’è più. Ma quanto è stato speso, in termini di speranza più che di soldi, nelle false illusioni della formazione, nelle false promesse di reinserimento al lavoro, accompagnate da selezioni di “case manager” affiancati da figure specifiche, giornate illustrative delle opportunità delle nuove professioni sociali, approfondimenti di esperienze pregresse, richieste di disponibilità orario, documenti spediti tra Asp e Cpi per definire “di concerto” le misure di contrasto alla povertà e le politiche attive.
Ascoltate Calabrese, sindaci, prendetevi il contributo deciso e stabilizzate questi precari della vita. Però risparmiateci pipponi su congetture che riguardano i passi fondamentali per la loro crescita. Passi? A 60 anni e oltre? O magari no, forse ci stiamo sbagliando noi, e anzi proviamo a cambiare prospettiva sull’immaginazione dell’infelicità delle vite degli, non è mai troppo tardi. E allora auguri ai nei assunti che verranno. Aspettiamo il racconto di tante belle storie. (redazione@corrierecal.it)

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