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‘ndrangheta lametina

«Pronto, sono Emanuele». Dal carcere di Siracusa le ‘mbasciate del figlio del boss Iannazzo

Il 44enne esponente dell’omonima cosca, nonostante la detenzione, avrebbe mantenuto contatti con l’esterno, coordinando attività familiari e criminali

Pubblicato il: 23/05/2025 – 18:28
di Giorgio Curcio
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«Pronto, sono Emanuele». Dal carcere di Siracusa le ‘mbasciate del figlio del boss Iannazzo

LAMEZIA TERME Sei utenze telefoniche intestate a cittadini del Bangladesh ma, di fatto, inesistenti. Un sistema molto ben congeniato, l’unico possibile per poter utilizzare in carcere i microtelefoni e poter quindi comunicare con l’esterno. Un piano simile a molti altri già visti e denunciati negli ultimi mesi, di quelli che pongono l’accento su una piaga che interessa un numero sempre maggiore di istituti penitenziari.
Il protagonista di questa vicenda, stavolta, è Emanuele Iannazzo (cl. ’81), detenuto nel carcere di Siracusa, in Sicilia, dopo la condanna nel processo “Andromeda” nato dall’omonima inchiesta della Dda di Catanzaro. Figlio del capocosca Francesco “U Cafarone” Iannazzo (cl. ’55), il suo nome è finito anche nella nuova indagine che ha portato questa volta all’arresto di 8 soggetti, ancora legati alla storica cosca di ‘ndrangheta Iannazzo-Cannizzaro-Daponte di Lamezia Terme. Il gip nei suoi confronti ha ritenuto congrua la misura cautelare degli arresti domiciliari.


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Il microtelefono in carcere

Per la Dda, comunque, Emanuele Iannazzo avrebbe agito «con il fine di agevolare l’attività dell’associazione ‘ndranghetista di appartenenza, conducendo attività anche per conto del gruppo». Già perché lo stato di detenzione non avrebbe impedito al 44enne lametino di «continuare a curare gli affari della famiglia, colloquiando tramite telefoni cellulari illegalmente penetrati nel carcere», mantenendo al contempo comunicazioni costanti con parenti e conoscenti. Nella fase investigativa, già a giugno 2021 gli inquirenti sono riusciti ad intercettare un dialogo tra la moglie di Emanuele Iannazzo e il figlio. In quella occasione, infatti, i due si sarebbero recati da Giovannina Rizzo – tra le persone arrestate – e avrebbero ricevuto proprio la telefonata dal parente detenuto a Siracusa. A conversazione ultimata, la moglie di Emanuele Iannazzo informa la suocera sul fatto che il coniuge fosse in possesso «di un microtelefono dotato di SIM», mettendo in conto anche la possibilità che potesse essere perquisito ed «essere scoperto ad utilizzare l’apparecchio telefonico».

La “sorpresa” a Ferragosto

Sarebbero almeno due le sim effettivamente utilizzate dal 44enne lametino. Ciò sarebbe emerso dalle indagini del Ninv dei Carabinieri di Lamezia Terme.
Ad esempio, il 31 luglio 2021, con una utenza Lycamobile avrebbe contattato la madre. Quest’ultima, colta di sorpresa, avrebbe persino fatto fatica a riconoscere il figlio. Episodio simile, poi, a Ferragosto dello stesso anno mentre il 21 agosto, Emanuele Iannazzo avrebbe contattato la moglie incaricandola di «contattare con insistenza tale Vincenzo, altrimenti avrebbe fatto una pessima figura». Questioni familiari, dunque, ma non solo. Dalle risultanze investigative, infatti, Emanuele Iannazzo si sarebbe interessato anche delle questioni illecite della famiglia. La moglie, ad esempio, parlando con lui si sarebbe lamentata della scarsa considerazione del loro sostentamento economico da parte di alcuni soggetti che, invece, avrebbero speso soldi in attività ricreative. Come un tale “Franchino”. «(…) ieri ha fatto il compleanno la bella della moglie, sono stati al ristorante, hanno mangiato, hanno bevuto e i soldi li hanno trovati (…) vabbè lasciamo fottere, noi non li preghiamo!». Esaltando, invece, il marito: «(…) se era alla storta ti saresti fatto in quattro, per lui, per la moglie, per il figlio!».


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La ‘mbasciata e il favore “gratuito”

Come emerso dall’inchiesta, Emanuele Iannazzo si sarebbe interessato di curare affari che vanno «dal procacciamento di un contratto di locazione per l’immobile detenuto occultamente e gestito da lui, dal fratello Pierdomenico e dalla madre, fino all’invio di alcune imbasciate ad un imprenditore di Amantea, storicamente definito vicino alla ‘ndrangheta, «affinché eseguisse gratuitamente un trasporto di sabbia a favore di un soggetto non individuato». Circostanza che, come ricostruito dagli inquirenti, aveva portato ad una sorta di “insurrezione” dei familiari perché avrebbe potuto dare all’esterno del gruppo malavitoso l’impressione che la potente famiglia Iannazzo non fosse in grado di provvedere con operatori di Lamezia Terme. Emblematica l’intercettazione dei Carabinieri di una familiare. «(…) con questa “imbasciata” che ha fatto a parte tutto il Cafarone, lo sa tutta Lamezia Terme! Lui dal carcere non potrebbe chiamare e sta rischiando di brutto…». (g.curcio@corrierecal.it)

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