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il caso

«Disgustati da chi infanga Chiara»

La famiglia della ragazza uccisa a Garlasco nel 2007 si scaglia contro il “circo” mediatico

Pubblicato il: 04/06/2025 – 23:24
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«Disgustati da chi infanga Chiara»

MILANO Il circo mediatico costruito attorno all’omicidio di Chiara Poggi è diventato insostenibile, soprattutto per i suoi genitori. Mamma Rita e papà Giuseppe sono “disgustati dalle affermazioni fatte in questi giorni dalle varie trasmissioni televisive. Si continua a infangare la memoria di nostra figlia”. E ciò con un susseguirsi di “illazioni su una ragazza che non può” replicare, “ricostruzioni romanzesche, “insinuazioni in totale dispregio della realtà” che, al contrario, testimonia di una giovane donna “pulita e semplice”. Non riesce più a trattenere il dolore la madre di Chiara, brutalmente uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco da qualcuno che lei conosceva bene e di cui si fidava. Per l’omicidio è stato condannato definitivamente a 16 anni di carcere il suo fidanzato, Alberto Stasi, ma ora il caso è stato riaperto per la terza volta e i fari sono puntati ancora su Andrea Sempio, l’amico del fratello della vittima. La nuova indagine della Procura di Pavia, guidata da Fabio Napoleone, ha però avuto come effetto di inondare l’etere e le edicole con notizie “incontrollate” e “diffamatorie” al punto da costringere i familiari della 26enne assassinata, con gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, a sporgere una raffica di denunce. L’ultima perla, hanno spiegato in una nota i due legali, è l’aver “adombrato una presunta relazione sentimentale di Chiara con un ‘uomo adulto’ utilizzando a tal fine dichiarazioni” di anni addietro “di una persona deceduta e all’epoca ritenute del tutto false”. Perchè la verità, assodata e certificata da qualsiasi atto giudiziario, e ora quasi ‘gridata’ dalla signora Rita, è che sua figlia “non aveva segreti e non aveva amanti. Non aveva due telefoni. Quello che è grave è che si fanno illazioni su una ragazza che non può difendersi”. In questo clima i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano, coordinati dai pm pavesi, stanno portando avanti le indagini per far luce su una ipotesi che, da quel che emerge, sposa la tesi della difesa di Stasi offrendo, inconsapevolmente, materiale su cui esercitare fantasie “stravaganti”. Per loro sarebbe Sempio uno dei colpevoli e avrebbe agito con uno o più complici. Una ricostruzione, questa, di cui si è convinti, tant’è che si stanno cercando i riscontri con la rilettura di tutti gli elementi raccolti nelle indagini precedenti, ritenute lacunose e in certi casi affrettate. Ed essendo trascorsi 18 anni, uno dei modi più affidabili per cercare prove sono le analisi genetiche al centro dell’incidente probatorio che materialmente comincerà il prossimo 17 giugno. Eppure una serie di circostanze, tornate alla ribalta in questi mesi, erano già state scandagliate anni fa. A partire dagli inquirenti e dagli investigatori che si sono occupati del caso all’indomani del delitto e che mai hanno creduto alla versione di Stasi e alla sua innocenza. Sulla stessa linea la Procura Generale milanese che, con la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e, quindi, in pratica con la ricelebrazione del processo sulla base di nuove prove, ne ha ottenuto la condanna. E proprio un appunto trasmesso otto anni fa dalla Procura Generale ai pm pavesi, allora guidati da un altro procuratore, Mario Venditti, ha demolito quanto ipotizzato dai difensori del fidanzato di Chiara. Il quale, si legge nell’atto, anche “nell’attualità (…) continua a fare quello che ha sempre fatto fin dall’immediatezza dell’evento, scegliendo il modo e il momento per tentar ancora una volta di condizionare l’azione degli investigatori (in questo caso di Pavia) con informazioni peraltro già scrutinate dai precedenti giudici”. Come le tre ormai note chiamate del 7 e 8 agosto a casa Poggi provenienti dal telefono di Sempio. Che, invece, “la fotografia della scena del crimine (…) esclude come possibile autore dell’omicidio”. Perché “il modo con cui Chiara” ha consentito “l’ingresso” in casa del suo assassino “prova” una profonda “confidenza” e “le modalità dell’aggressione, rivelano un coinvolgimento emotivo particolarmente intenso”. Confidenza e coinvoglimento che non facevano parte del rapporto che lei, giovane donna di 26 anni e strutturata, aveva con l’amico adolescente e compagno di giochi alla play station di suo fratello Marco. (ANSA)

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