PALERMO Si torna a indagare sull’omicidio dell’ex segretario provinciale della Dc Michele Reina, assassinato a Palermo il 9 marzo del ’79 sotto agli occhi della moglie e di una coppia di amici. Un delitto politico-mafioso, così venne definito dagli inquirenti, seguito da altri assassinii eccellenti come quello del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, ammazzato il 6 gennaio del 1980, e quello del segretario regionale del Pci Pio La Torre, ucciso il 30 aprile di due anni dopo. Una scia di sangue su cui restano molti punti oscuri, tanto da indurre i pm della Dda del capoluogo, coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia, a riaprire le indagini. A pochi giorni dalla notizia delle analisi genetiche disposte su una impronta trovata nella 127 usata dai killer di Mattarella, arriva quella della decisione della Procura di acquisire foto e immagini girate sul luogo dell’assassinio di Reina, in via Principe di Paternò, e dopo il ritrovamento della Fiat Ritmo usata dai killer per la fuga. Per l’omicidio di Reina furono processati e condannati in via definitiva i componenti della Cupola mafiosa: Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Totò Riina e Antonino Geraci. Mai scoperti invece i sicari. Proprio come nell’omicidio Mattarella. Uno dei tanti aspetti che lega i due delitti. Michele Reina fu eletto segretario provinciale della Dc nel 1976 e fu uno dei principali sostenitori dell’apertura del partito al Pci. Il pomeriggio del giorno in cui fu ucciso aveva portato il saluto al congresso regionale del Partito Comunista illustrando il progetto di collaborazione per il governo della Sicilia. Una linea che vedeva assieme Reina, Mattarella e l’allora segretario regionale della Dc Rosario Nicoletti. Appena un’ora dopo, l’omicidio venne rivendicato con una telefonata anonima al centralino del Giornale di Sicilia da Prima linea, uno dei gruppi armati del terrorismo rosso. Seguirono altre rivendicazioni sempre di matrice terroristica. A imprimere una svolta alle indagini furono le dichiarazioni fatte al giudice Giovanni Falcone e all’allora dirigente della Criminalpol Giovanni De Gennaro, dal pentito Tommaso Buscetta che disse che a volere la morte del politico era stato il boss Totó Riina. Al centro delle nuove indagini ci sono anche i collegamenti, che già Giovanni Falcone aveva ipotizzato, tra i cosiddetti delitti politici e le possibili convergenze di interessi tra Cosa nostra e eversione nera, unite dal tentativo di impedire il rinnovamento politico della Sicilia. “La tesi esposta nel nostro mandato di cattura, peraltro conforme ai risultati di un’analisi dei documenti da noi forniti all’ufficio dell’Alto commissario, è la seguente: – disse Falcone nel 1990 sentito dall’Antimafia, – sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell’omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l’omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante”. (
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