Enrico Berlinguer a Cosenza: il sogno del Sud, 41 anni dopo
Lo storico discorso dell’indimenticato segretario del Pci a piazza Fera il 30 maggio 1976. Oggi ricorre l’anniversario della sua morte

COSENZA Era il 30 maggio del 1976 quando il segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer salì sul palco di piazza Fera a Cosenza, nel cuore di una campagna elettorale infuocata, tra tensioni sociali e speranze che allora sembravano a portata di mano. Piazza gremita. Ogni angolo, ogni balcone, ogni tratto di strada – da corso Mazzini a via Alimena – era occupato da volti attenti, da operai, donne, studenti, braccianti, giovani disoccupati.
Il Sud c’era, e aveva trovato in Berlinguer un interlocutore onesto, appassionato, capace di guardare negli occhi la gente e di parlare una lingua che arrivava al cuore.
Tra i tanti cronisti accorsi a Cosenza, a raccontare quel giorno con dovizia di particolari fu Ugo Baduel (anche saggista e politico) su l’Unità del 1° giugno 1976.
«Lo specchio di questa particolare realtà – scrisse Baduel – era visibile nella grande piazza Luigi Fera dove il comizio si svolgeva. Gremita a migliaia e migliaia, la piazza, del pubblico ormai consueto dei comizi del Pci, cioè di operai, braccianti, giovani, donne; e folla anche agli imbocchi di corso Mazzini, di Corso Italia, di via Alimena, di via Caloprese cioè le strade di fronte e ai fianchi del palco. Le decine di balconi e di terrazze dei “palazzoni” che si affacciano sulla piazza, erano zeppi di cittadini.
C’erano, nella folla, gli operai in lotta del cantiere della Centrale Enel di Rossano; le delegazioni e i sindaci dei comuni di sinistra della zona: un gruppo di giovani (un pullman da loro affittato) delle Acli di Paola: e tanti giovani, tante donne: le mogli degli emigrati di San Giovanni in Fiore, le donne – anche anziane – di Bisignano, uno dei paesi che negli anni ‘50 subì la furia – con una compagna bracciante uccisa – della polizia di Scelba scatenata contro le lotte agrarie (le donne di Bisignano in quei giorni traversarono a guado il Crati, di notte, per andare a occupare le terre che figli e mariti, arrestati, avevano dovuto lasciare): c’erano gli artigiani di Longobucco, uno dei pochissimi centri di lavorazione di arazzi e tappeti restato in attività: c’erano le raccoglitrici di olive ancora in lotta, ai giorni nostri, contro le residue e famigerate baronie agrarie parassitarie; c’erano in massa studenti e docenti della Università cosentina che proprio nei giorni scorsi hanno votato, dando alle sinistre il 70 per cento dei voti, e facendo del Pci il primo partito nell’Ateneo: c’erano migliaia di giovani disoccupati, di diplomati in cerca del primo lavoro, di ragazze, di emigrati cacciati dalla crisi italiana e europea e tornati al paese, senza occupazione».
«Il panorama della crisi meridionale a Cosenza»
«Ecco dunque – continuava Baduel nel suo reportage – il panorama della crisi meridionale in ogni suo aspetto, un “campione” eloquente che oggi era in piazza a Cosenza (e molti sono venuti da Catanzaro e Reggio Calabria di propria iniziativa, associandosi per affittare i pullmans).
Di fronte a questa realtà drammatica − ha detto Berlinguer affrontando il tema meridionale, al centro del suo ampio discorso − con quali volti si presenta la DC alle prossime elezioni? Il volto di Fanfani innanzitutto, e poi i volti di Scelba, di Gava, di Colombo, di Gioia, di Lima, di Antoniozzi. Di Pucci, di Misasi, di Natali, di Gaspari. Con quale impudenza, dunque, la Dc può venire ora a raccontarci ancora una volta che facendola più forte essa sarebbe capace di fare diversamente da ciò che ha fatto in trenta anni?».
La scomparsa di Berlinguer l’11 giugno 1984
Quel discorso, come molti altri di Berlinguer, metteva insieme rigore e indignazione, passione e analisi politica. Non prometteva miracoli, ma chiedeva consapevolezza, responsabilità, partecipazione. Oggi, in un contesto molto diverso da quello del 1976, alcune di quelle domande restano ancora aperte. La questione meridionale non è mai scomparsa davvero, anche se è cambiata nei suoi contorni: disoccupazione giovanile, spopolamento dei piccoli centri, crisi dei servizi pubblici, emigrazione qualificata. Non c’è più quella politica fatta di piazze e comizi popolari, ma resta intatta, in chi la cerca, la necessità di una rappresentanza che sia concreta, non occasionale, capace di riconoscere i bisogni reali.
Otto anni dopo quel comizio, esattamente l’11 giugno del 1984, Berlinguer moriva a Padova, quattro giorni dopo il malore che lo colpì mentre parlava, come sempre, alla gente. Fino all’ultimo, la sua voce non tremò. Non si interruppe. Finché poté, parlò. Proprio come fece quel giorno a Cosenza dove forse, qualcuno ancora oggi continua a sentirne la mancanza. (f.veltri@corrierecal.it.)
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