REGGIO CALABRIA Entrano in gioco anche due collaboratori di giustizia nella partita che vede in prima linea la Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo, per stabilire la verità sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Una verità che gli investigatori stanno cercando di portare a galla attraverso nuove indagini coadiuvate da nuovi rilievi e analisi, alle quali si uniscono i racconti del pentito Maurizio Avola, che potrebbe essere sentito insieme a un altro collaboratore di giustizia siciliano, Fabio Tranchina.
Le nuove indagini, coordinate da Lombardo e dal sostituto della Dda Sara Parezzan, e che vedono 24 persone iscritte nel registro degli indagati – compresi quelli che nel frattempo sono deceduti – hanno permesso di effettuare una ricostruzione sulle modalità attraverso le quali si è consumato il delitto del giudice il 9 agosto 1991.
Per farlo gli investigatori hanno effettuato nuovi rilievi e accertamenti direttamente sulla scena del delitto e sull’auto del giudice, la BMW, a bordo della quale Scopelliti, all’epoca sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, si trovava dopo una giornata al mare presso il lido il Gabbiano a Santa Trada, mentre percorreva la strada tra la frazione Ferrito di Villa San Giovanni e Piale di Campo Calabro. Per effettuare i rilievi la polizia scientifica ha riportato sul luogo del delitto l’auto del giudice e riprodotto fedelmente quanto si trovarono davanti gli investigatori intervenuti dopo l’agguato, portando sul luogo dell’agguato anche una moto di grossa cilindrata uguale a quella del delitto, un’Honda Gold Wing.
Dopo i rilievi effettuati sul luogo dell’omicidio, sono stati affidati gli accertamenti tecnici irripetibili di tipo biologico che riguardano l’autoradio della Bmw. Al perito nominato dalla Procura è stato chiesto di «verificare la presenza di eventuali tracce biologiche e procedere ai conseguenti ed eventuali rilievi sulle tracce presenti sull’autoradio in sequestro, utili sia per la determinazione del profilo del Dna e ai fini balistici, per ricostruire la direzione dei colpi esplosi». L’obiettivo è «effettuare una ricostruzione tridimensionale della scena del crimine, determinare la dinamica dell’azione omicidiaria e ricostruire la traiettoria dei proiettili esplosi».
Tra le ultime novità c’è poi la richiesta di sentire in aula il collaboratore di giustizia Maurizio Avola. A chiedere un incidente probatorio sono stati gli stessi legali del collaboratore di giustizia. Insieme a lui, potrebbe essere sentito anche il collaboratore di giustizia Fabio Tranchina.
Fu un agguato studiato nei minimi particolari: dagli spostamenti del giudice alla strada da percorrere per assicurarsi di colpirlo nel posto più isolato possibile. Secondo la ricostruzione – effettuata anche attraverso le dichiarazioni di Avola – in località Piale, alle 17.20 del 9 agosto del 1991, contro il giudice reggino furono esplosi diversi colpi di fucile calibro 12, caricato a pallettoni. Ad impugnare l’arma, un fucile “Zabala Hermanos“ sarebbe stato Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio del boss Nitto Santapaola, a bordo di una moto guidata dallo stesso Maurizio Avola. I due erano seguiti «da un corteo di autovetture in cui vi erano, a bordo di un’Alfa Romeo 164, Matteo Messina Denaro ed Eugenio Galea, a bordo di una Mercedes, Aldo Ercolano (e successivamente, al momento della fuga, Vincenzo Salvatore Santapaola) e a bordo di una Fiat 1, Marcello D’Agata, presenti al fine di agevolare l’esecuzione e assicurare la buona riuscita del delitto, nonché per garantirsi l’impunità».
Tra gli indagati risultano boss di ‘ndrangheta e Cosa nostra, tra cui Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano, Giuseppe Morabito, Luigi Mancuso, Giuseppe Zito e il boss delle cosche “milanesi” Franco Coco Trovato. Tra i nomi indicati c’è anche quello del boss catanese Nitto Santapaola nei confronti del quale, però, “non si può procedere perché già assolto per l’omicidio Scopelliti”. Nell’inchiesta risultano indagati anche alcuni boss che nel frattempo sono deceduti, Matteo Messina Denaro, Giovanni Tegano e Francesco Romeo.
Secondo le ipotesi emerse nel corso delle indagini negli anni, l’omicidio del giudice Scopelliti potrebbe essere stato frutto di un patto tra ‘ndrangheta e Cosa nostra, un “favore che Cosa nostra chiese alla ‘ndrangheta” per eliminare il giudice che all’epoca rappresentava la pubblica accusa nel maxiprocesso in Cassazione. L’organizzazione criminale calabrese a sua volta chiese un intervento ai siciliani per far cessare la seconda guerra di ‘ndrangheta che dal 1985 insanguinava le strade di Reggio Calabria. «Un patto di sangue» dopo il quale la ‘ndrangheta «ritrova la pace dopo sei anni di guerra».
Una pista che alla luce delle nuove indagini sembra la più accreditata e sulla quale si scava per far emergere una verità negata per 34 anni.
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x