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LETTERE MERIDIANE

Mettete dei fiori nei vostri cannoni

di Francesco Bevilacqua*

Pubblicato il: 18/06/2025 – 7:10
Mettete dei fiori nei vostri cannoni

“Mettete dei fiori nei vostri cannoni” cantavano “I Giganti” nel 1967. Era l’epoca dell’equilibrio del terrore fra USA e URSS e della guerra nel Vietnam, dove gli americani erano intervenuti contravvenendo ad ogni regola del diritto internazionale (come fecero diverse altre volte), bruciando col Napalm interi villaggi, bombardando, uccidendo, stuprando. Tutte cose che si fanno quando si è in guerra: forza bruta senza alcuna compassione, sfogo degli istinti peggiori degli uomini. Era anche l’epoca, però, in cui i giovani più consapevoli di tutto il mondo scendevano in piazza per reclamare “pace e amore”. E non era uno slogan pittoresco dei “figli dei fiori”, come si crede comunemente. Era, invece, la ribellione di un’intera generazione contro l’idea che il mondo dovesse essere dominato dalla guerra e dall’odio, che i popoli dovessero divedersi in prepotenti, da un lato, e sfruttati, dall’altro, e che solo il denaro, il conformismo, il potere rendessero gli esseri umani felici.
Quei giovani avevano capito, sin da allora, che la piega che il sistema capitalistico stava prendendo era volta ad acuire il solco tra i diseredati ed i potenti della Terra e ad instaurare una società dominata da una sola classe: quella dei i finanzieri d’assalto, dei governanti interscambiabili con i funzionari delle grandi banche d’affari, dei politici lobbisti, con la solita corte di giornalisti, opinionisti e propagandisti, creatori di consenso.
Da lì a poco, infatti, sarebbe esploso il neo-liberismo di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, il sistema economico e sociale di cui oggi si odono sinistri scricchiolii. Che aveva come maestro di pensiero l’economista più cinico e spietato della storia, Milton Friedman. Quello che disse fra l’altro: “Gli affari hanno una e sola responsabilità sociale, quella di utilizzare le proprie risorse e svolgere attività destinate ad aumentare i profitti”.
E allora mi chiedo: se la guerra produce profitti enormi perché un mondo dominato dal profitto non dovrebbe fare la guerra? Se il profitto è l’unica responsabilità sociale degli imprenditori, come dice Friedman, perché non dovremmo concepire la vendita delle armi e il farsi la guerra come un fatto fisiologico, e la pace, invece, come una patologia?
In questo quadro rientra quello che è accaduto negli ultimi anni e che sta accadendo in questi giorni, come una valanga che mentre precipita dalla montagna, s’ingrossa e diviene sempre più devastante: prima l’espansionismo della NATO, poi l’invasione dell’Ucraina, poi il riamo europeo con dichiarazione di guerra alla Russia, poi la distruzione della Palestina, poi l’improvvisa aggressione all’Iran (e tralasciamo tutto il resto per brevità).
Tutto combacia con il pensiero di Friedman: il riarmo, le guerre, le aggressioni, i colpi di stato, i cambiamenti di regime “facilitati” dall’Occidente, produrranno profitti? Certo che sì. E allora non sono altro che encomiabili gesti di responsabilità sociale!

Leggo nella geopolitica degli ultimi anni il tentativo dell’Occidente di dare una spallata definitiva alle potenze avversarie per allinearle al credo neoliberista. Esaurite le esportazioni della democrazia della prima fase (Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia etc., che, ovviamente, non erano aggressioni a stati sovrani), il primo banco di prova della nuova collezione è stato il provocatorio risucchio dell’Ucraina nella sfera di influenza NATO, per verificare sul campo, se si poteva dare una spallata definitiva alla Russia. Capito che non era cosa facile si è proseguito con la cancellazione della Palestina. Capito che anche quello è un pantano, si tenta oggi con l’Iran (per questo gli USA sono allettati dall’idea di intervenire direttamente nel conflitto). E, prima o poi, si dovrà provare anche con la Cina, che è il vero intralcio all’occidentalizzazione del mondo.
Recentemente, un professore di Relazioni Internazionali all’Università di Milano, Alessandro Colombo ha pubblicato un libro per Raffaello Cortina che s’intitola “Il suicidio della pace”, nel quale conclude che occorre pensare ad un mondo in cui si riconosca che chi dice “o la perfezione dell’ordine liberale o il diluvio” non soltanto mente sulla perfezione del primo, ma apre le porte al secondo. E che la vera sfida sarà edificare un nuovo ordine che, senza rinunciare a ciò che di buono ha il liberalismo dovrà necessariamente contemplare il rispetto dei principi di chi non è omologato a noi.

*Avvocato e scrittore

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