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il delitto e l’indagine

Il “peso” criminale di Bellocco «sfruttato dagli ultrà» e dalla «piccola mafia del Meazza»

A Trame l’analisi della docente Anna Sergi: «Le curve hanno costruito proprie mafie. Ma quando serve il salto, cercano il nome che fa paura»

Pubblicato il: 21/06/2025 – 18:50
di Giorgio Curcio
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Il “peso” criminale di Bellocco «sfruttato dagli ultrà» e dalla «piccola mafia del Meazza»

LAMEZIA TERME La condanna dei capi ultrà di Inter e Milan ha sancito la fine (per ora) di un lungo capitolo aperto alla fine dello scorso settembre con l’inchiesta della Dda di Milano e dei pm Paolo Storari e Sara Ombra, che aveva portato al maxi-blitz di Polizia e Gdf e l’arresto di 19 persone. Ad anticipare inconsapevolmente i fatti, il brutale omicidio di Antonio Bellocco, ucciso proprio dall’ex capo ultrà nerazzurro Andrea Beretta a Cernusco sul Naviglio il 4 settembre. Il collaboratore di giustizia è stato condannato a 10 anni di reclusione, gli stessi comminati a Luca Lucci, capo della Curva Sud milanista imputato come mandante del tentato omicidio dell’ultrà Enzo Anghinelli e di associazione per delinquere. 

«Quella dei Bellocco non è una sola famiglia»

A fare da contorno alla vicenda esplosa ormai 9 mesi fa, le presunte ingerenze della ‘ndrangheta al “Meazza” di Milano. Intrecci tra vecchi nomi della mala presente a Milano da decenni e nuove presenze, tra cui proprio quella del defunto rampollo dei Bellocco. Ma il quadro disegnato in questi mesi non è semplice come appare. «Quella dei Bellocco non è una sola famiglia, ci sono vari rami alcuni dei quali “fortunati”, quelli cioè che danno il nome alla dinastia, e altri non particolarmente fortunati da un punto di vista criminale ed economico, in sostanza il cognome è lo stesso, ma non significa che la portata criminale sia la stessa».  A fissare qualche punto è stata Anna Sergi, docente calabrese dell’università dell’Essex, pubblicista esperta in fenomeni criminali e, in particolare, esperta di ‘ndrangheta.

La “piccola mafia” all’interno di “San Siro”

A margine di una iniziativa a “Trame”, il festival dei libri sulle mafie di scena fino a domani a Lamezia Terme, Anna Sergi ha delineato alcuni degli aspetti emersi dall’inchieste e dalla cronaca giudiziaria di questi ultimi mesi.
«Le curve non sono luoghi in cui serve la mafia, se non nel momento in cui la curva fa il “salto di qualità”. La criminalità della curva è autonoma rispetto alla mafia, gli ultras hanno creato delle “piccole mafie” per sistemare le loro estorsioni, hanno un sistema di gestione della violenza, hanno i loro business che cercano in qualche modo di precludere al resto del mondo». Ma, spiega Anna Sergi, «nel momento in cui voglio fare il salto di qualità e voglio, per esempio, parlare con il club, parlare con un’altra squadra o altri ultras, ho bisogno anche di esternalizzare alcuni settori, tra cui quello della protezione mafiosa.

Un cognome che «fa paura»

E in questa dinamica un soggetto come Antonio Bellocco si trova nella posizione migliore per poter offrire il cognome mafioso che già di suo fa paura e ha un “peso” nonché un interesse, magari, a coordinarsi su certe attività criminali che parte della sua famiglia, magari ha altrove, giù in Calabria», osserva la docente. «Quello che abbiamo visto chiarissimamente con l’Inter è che c’era già un sistema di criminalità molto avanzato in cui Antonio Bellocco si è trovato a entrare perché invitato, proprio perché portava un “extra”», osserva Sergi. E il suo omicidio «fa capire effettivamente che il rispetto che molte persone hanno anche per il cognome mafioso è sempre un po’ relativo. Quando, come in questo caso, vai ad intaccare quelli che sono gli interessi che il “gotha della curva” si è costruito da solo, lì non c’è Bellocco che tenga». La cronaca però ci racconta del pentimento dell’ex capo ultrà dell’Inter e reo confesso dell’omicidio di Bellocco, perché, secondo Anna Sergi «nel momento in cui commenti un’azione di questa portata, comportandoti da “mafia” per proteggere il tuo territorio, alla fine scopri di essere molto piccola di fronte ad una grande mafia che è la ‘ndrangheta». (g.curcio@corrierecal.it)  

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