Pistole sotto terra, droga dietro il quadro della Madonna: così viveva il clan Marino
Le intercettazioni ambientali dell’inchiesta “Grandsons 2” mostrano un sistema criminale compatto, dove anche i minori sapevano

Dopo l’operazione “Grandsons 2”, scattata quattro giorni fa con 14 arresti (due ai domiciliari) tra il Piceno e il Teramano, emergono i dettagli di un’organizzazione criminale strutturata, capace di operare secondo schemi mafiosi. Al centro dell’inchiesta, lui: il crotonese Vincenzo Marino, 50 anni, detto “lo zio”, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, con un passato nella ’ndrangheta (è stato legato alla cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura) che da una casa abusiva a Porto d’Ascoli – decorata con mosaici e statue di leoni – impartiva ordini, coordinava lo spaccio e teneva le fila anche dal carcere.
La base era più di un rifugio: lì si tagliava e confezionava la droga, si interravano armi e stupefacenti, si piazzavano vedette all’esterno per prevenire blitz e assalti. Sotto il prato sintetico, un fucile e pistole sigillate sottovuoto. Dietro un quadro della Madonna, droga e munizioni. Il gruppo – composto da italiani e albanesi, con ruoli attivi anche per donne e minori – si muoveva con ferocia. «Picchia! Accoltella! Massacra», diceva Marino nei dialoghi intercettati. E non erano solo minacce: a loro è contestato anche un tentato omicidio, avvenuto in un locale di Martinsicuro.
Ogni componente aveva un compito. Persino i figli e la compagna del boss sapevano dove si trovava la merce, come trattare le buste e come eludere i cani antidroga. Ma non è bastato. Durante le perquisizioni, gli agenti hanno trovato tutto: cocaina, bilancini, sostanze da taglio, 35 proiettili, telefoni cellulari, armi pronte per essere usate. E una bomba a mano, interrata in un involucro di vetro. Segno di un’organizzazione che non solo trafficava droga, ma costruiva attorno a sé un sistema di potere fondato sulla paura.
Il faro sulla famiglia Marino
Come descritto nell’ordinanza dell’operazione, il 30 ottobre 2023 la Procura della Repubblica di Teramo esegue un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Vincenzo Marino e altri quattro indagati. Il gruppo è accusato del tentato omicidio di Simone Marcelli, avvenuto il 2 agosto a Martinsicuro, in modo improvviso durante una serata in un locale notturno. Un fatto che, pur non collegato direttamente alle precedenti indagini, riaccende l’attenzione degli inquirenti sull’attività della famiglia Marino.
Durante le perquisizioni nelle abitazioni di San Benedetto del Tronto e Monteprandone, in uso alla famiglia, vengono ritrovate armi da fuoco, munizioni e cocaina. I ritrovamenti parlano chiaro: pistole nascoste sotto il prato sintetico, un fucile sepolto nel cortile, cocaina infilata in una grata di scolo, e perfino munizioni occultate dietro un quadro sacro. I militari sequestrano anche un bilancino di precisione e sostanze da taglio, oltre a una scatola con 35 proiettili.
Le pistole sotto l’erba sintetica
Le intercettazioni ambientali sono la vera chiave del racconto investigativo. Il 26 ottobre 2023, in salotto, Marino discute con alcuni uomini di fiducia: Klodian Hymeti e Valerio Nobili (iscritti nel procedimento del tribunale di Ancona). «Guarda com’è buona questa… non tiene nemmeno la rigatura della canna», dice Marino. È una pistola liscia, non tracciabile. «Zio, non lo fare più! Così me l’hai rotta pure a me». «Valerio, non interrarla… mettila a portata di mano», ordina Marino. Tre giorni dopo, i poliziotti scavano nel giardino. Trovano quella pistola. Era stata infilata in un rotolo di erba sintetica, chiusa sottovuoto. Lo stesso metodo suggerito nelle conversazioni intercettate. L’arma è vera, ha matricola, ed è stata maneggiata come un oggetto da esporre e poi nascondere in fretta.
Il quadro della Madonna, le buste sporche e il fiuto dei cani
La scena più surreale si consuma il 30 ottobre. La casa è stata appena perquisita. Un figlio di Vincenzo Marino, parla con la madre Tiziana Giuda (cl. ’77 di Crotone), anche lei coinvolta nel procedimento. È agitato e le “confessa” di aver nascosto dietro il quadro della Madonna «droga e proiettili». Salvo rimanere sorpreso dal cane antidroga che non fiuta nulla. Secondo gli inquirenti non è solo Vincenzo Marino a sapere. Tutti sanno. Lo dimostrano le intercettazioni successive. Il 23 novembre, Tiziana ne parla con la figlia, poi col figlio e ride, imita i carabinieri. «T’abbiamo trovato!», dice, fingendo entusiasmo.
La famiglia – come ipotizzato dalla procura – più che un rifugio, è un organo operativo del clan. Ognuno ha un ruolo. Chi scava, chi pulisce, chi mette sottovuoto, chi finge di non vedere.
«Se non fossi rimasta qua, avrei fatto in tempo a spostare la roba», dice Tiziana in un’altra intercettazione. Ma non fa in tempo. La Polizia arriva prima.
«Sono andati dritti dritti al quadro… qualcuno ha parlato», ammette. (fra.vel.)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato