Omicidio Rocco Gioffrè, Tiziana Mirabelli condannata a 17 anni
La donna colpevole dell’omicidio di Rocco Gioffrè: 75enne ucciso con 41 coltellate il 14 febbraio 2023 a Cosenza

COSENZA Diciassette anni è la pena decisa dalla Corte d’Assise di Cosenza nei confronti di Tiziana Mirabelli. Nei confronti dell’imputata sono state escluse le circostanze aggravanti riferite al capo 1 della rubrica, riqualificate le ipotesi di occultamento di cadavere e rapina aggravata, ritenuto il vincolo della continuazione dei reati sub 1 e 3, applicata per tutti i reati la diminuente del rito abbreviato (condanna a a16 anni). L’imputata condannata alla pena di un anno per il reato riqualificato (sub b).
Mirabelli è stata condannata anche al risarcimento delle parti civili, al pagamento di una provvisionale di 60mila alle parti civili, all’interdizione dei pubblici uffici, alla libertà vigilata a pena espiata per la durata di tre anni. La Corte mantiene fermo il vincolo sull’appartamento dell’imputata in sequestro ai fini di prova e ordina la confisca e la distruzione dei coltelli e dei materiali residui in sequestro ad eccezione degli smartphone, pc e tablet se di proprietà delle persone offese, disponendo la restituzione agli aventi diritto.
Oggi pomeriggio, la presidente della Corte d’Assise Paola Lucente (a latere giudice De Vuono), dopo tre ore di camera di consiglio ha dato lettura del dispositivo emesso nei confronti dell’unica imputata accusata dell’omicidio di Rocco Gioffrè: 75enne ucciso con 41 coltellate il 14 febbraio 2023 nello stabile popolare di via Monte Grappa a Cosenza. Al termine della requisitoria, la pm Marialuigia D’Andrea aveva invocato la pena dell’ergastolo, stessa richiesta avanzata anche dall’avvocato di parte civile, Francesco Gelsomino. Il difensore dell’imputata, l’avvocato Cristian Cristiano aveva – al termine di una arringa durata oltre due ore – avanzato la richiesta di assoluzione per la propria assistita che avrebbe agito per legittima difesa. La Corte ha ritenuto, dunque, colpevole la donna per l’omicidio a sfondo passionale, non ritenendo sussistenti le prove per condannare l’imputata per un delitto compiuto con l’intento di commettere una rapina nei confronti della vittima.
Tesi opposte
Due le tesi completamente agli antipodi che hanno animato il processo dibattimentale. Per l’accusa, il delitto è da inquadrare come un «fatto di sangue necessario a commettere una rapina ed estinguere un debito pregresso con i familiari». Gioffrè, sempre secondo D’Andrea, avrebbe «detenuto notevoli risparmi in casa, soldi necessari alle cure del figlio» e dunque, la «bramosia di denaro ha spinto l’imputata a rapinare un anziano, uccidendolo senza dare scampo per una pulsione superficiale e violenta».
Tesi assai diversa quella proposta dall’avvocato Cristian Cristiano che invece ha sempre motivato la reazione di Mirabelli legandola al respingimento di un tentativo di violenza sessuale o peggio ancora, per riportare il virgolettato del legale, per evitare «un femminicidio». In via subordinata, l’avvocato della difesa ha ipotizzato l’ipotesi di eccesso di legittima difesa.
L’imputata, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese in una delle ultime udienze, ha sempre sostenuto di aver agito per legittima difesa. «Stavo rifacendo il letto. Lui mi è arrivato alle spalle e mi ha puntato un coltello alla gola. L’ho deviato d’istinto, mi sono girata e gli ho dato un pugno. Abbiamo lottato. Ho cercato di afferrargli il polso e il coltello è caduto. Mi ha detto che quel giorno non sarebbe finita bene e l’ho colpito». (f.benincasa@corrierecal.it)
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