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Cosenza calcio, le parole gelide di Lupo e Micheli e quel «se resterò» che racconta tutto

A Lorica ieri si è vista una società debole, rappresentata da volti nuovi e parole vecchie

Pubblicato il: 27/07/2025 – 9:16
di Francesco Veltri
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Cosenza calcio, le parole gelide di Lupo e Micheli e quel «se resterò» che racconta tutto

COSENZA Partiamo subito dicendo che il Corriere della Calabria non ha partecipato ieri alla prima conferenza stampa stagionale del Cosenza calcio di fine luglio. Eppure, anche da lontano, non è stato difficile percepire il disagio e l’imbarazzo di chi si è trovato a raccontare un progetto senza riuscire a renderlo credibile. Perché più che un incontro chiarificatore, quella andata in scena è sembrata una riunione di condominio in cui i nuovi inquilini si sono trovati a dover giustificare il crollo dell’ascensore e le infiltrazioni del tetto, senza nemmeno aver fatto in tempo a disfare le valigie.
Diciamolo chiaramente: nessuno dei presenti (il ds Fabio Lupo, il consulente finanziario Luigi Micheli e il tecnico Antonio Buscè) ha responsabilità diretta della crisi gestionale e umana del Cosenza calcio. Sono arrivati da poco. Hanno preso in mano una macchina già incidentata, con l’aria condizionata rotta e la frizione che slitta. Eppure, ciò non giustifica l’impostazione della conferenza stampa, che è apparsa più come un esercizio di autodifesa preventiva (che non sarebbe spettata neanche a loro) che come un atto di apertura verso una piazza ferita.
Tra i protagonisti, Luigi Micheli, forse primo consulente societario della storia chiamato per sistemare i conti e, nel frattempo, finito a gestire anche l’immagine. La sua è apparsa la postura di chi mal sopporta l’idea di essere messo in discussione da giornalisti locali, ancor più se questi osano maneggiare l’ironia. Come nel caso di un articolo (di questa testata, pur senza essere citata) in cui settimane fa lo si descriveva al telefono in centro città – forse con un avvocato, forse con Guarascio – mentre a pochi passi i tifosi, sfiancati, manifestavano proprio contro il suo datore di lavoro. Era una scena volutamente metaforica, eppure gli ha dato fastidio. Lo ha detto. «La sera parlo solo con mia moglie» ha tenuto a precisare.
Ecco, forse in quel dettaglio c’è tutta la distanza fra chi osserva Cosenza da un grafico Excel e chi la vive con lo stomaco. Eppure, Micheli ha provato a spiegare. A modo suo. Ha detto che Guarascio ha speso tanto, che la retrocessione non può essere addebitata a chi mette i soldi, che «se resterò, farò pochissime conferenze stampa, ma sono a disposizione di tutti».
Quel «se resterò» sfuggito, passato quasi inosservato e sospeso a metà tra un arrivederci e un «vediamo come gira» ha lasciato, forse più d’ogni altra cosa, una sensazione enorme di precarietà. Ma al tempo stesso, ha mantenuto una certa onestà intellettuale: «Non ho detto che le cose vadano bene, altrimenti non sarei qui», ha ammesso. E ancora: «Può anche essere che le risorse siano state gestite male». Un’affermazione che, nel contesto generale, suona quasi rivoluzionaria. Dunque sì, Micheli è apparso infastidito, poco empatico, forse impreparato a una realtà cosentina reduce da 15 anni di surreale gestione Guarascio. Non si può ignorare che sia stato catapultato in un contesto ingestibile, a rappresentare chi non ha più il coraggio di metterci la faccia, né la voce. Però, per ora, ha scelto di restare lì a fare da parafulmine, magari anche controvoglia.
Se Micheli ha lasciato tutti perplessi, del tutto incomprensibile è stato l’atteggiamento del nuovo addetto stampa Giovanni Folino, che ha deciso di presentarsi al popolo bruzio riprendendo due volte l’esperto collega Alfredo Nardi del Quotidiano del Sud, “colpevole” di aver provato a spiegare ai nuovi arrivati che a Cosenza non si retrocede solo per una decisione tecnica fallimentare o per un rigore sbagliato, ma anche per scelte societarie assurde, imposizioni ridicole e un clima da caserma. Nardi ha parlato di fornitori che tampinavano i calciatori, di diktat societari come il divieto di acquistare presso i negozi degli sponsor. E Folino? Ha bollato tutto come “gossip”, come “chiacchiericcio”. Ha tirato fuori la parola magica: “siamo dei professionisti”, dimenticando che la professionalità non si difende col microfono in mano, ma lasciando spazio alle domande, anche quelle scomode.
In questo scenario surreale, l’unico a portare una parvenza di ottimismo è stato Fabio Lupo. Pacato e composto, ha detto che dopo una retrocessione è normale che ci sia un terremoto. Il problema, però, caro Lupo, è che a Cosenza il terremoto è iniziato molto prima della classifica. Le scosse si sentivano già quando la squadra era ancora tecnicamente salva, ma emotivamente perduta. Possibile che nessuno glielo abbia detto?
Poi è toccato ad Antonio Buscè, il nuovo tecnico, spiegare che nel suo lavoro il lato umano è fondamentale, che chi resta deve essere convinto. Parole giuste, certo, ma scollegate da una realtà in cui l’umanità è stata trattata come un optional di lusso.
La sensazione più netta, alla fine, è che i nuovi dirigenti non abbiano ancora capito dove sono sbarcati. O forse sì, e preferiscono fingere il contrario. Parlano di Cosenza e del Cosenza calcio come se fosse una normale piazza sportiva, con i suoi alti e bassi, i suoi cicli da ricostruire. Ma qui non si tratta di cicli. Qui si tratta di una frattura. Una spaccatura profonda, insanabile, tra chi gestisce e chi vive il calcio cittadino. Tra chi osserva e chi soffre. È come se a un docente universitario di Antropologia culturale arrivato in Calabria per la prima volta dal Veneto, fosse stato chiesto di tenere una lectio magistralis sul carattere dei cosentini. Ieri mattina a Lorica a quel docente è mancato giustamente il linguaggio, il lessico, la memoria. La conferenza stampa di fine luglio è servita, forse, a prendere le misure di un ambiente che non perdona più nulla, ma che (basta scorrere, nonostante tutto, le reazioni social per capirlo) sarebbe ancora disposto a sacrificare la propria dignità per il bene dei Lupi – se solo qualcuno mostrasse l’intenzione di parlare con onestà, senza alibi e senza il bisogno di ripararsi dietro un lessico aziendale. Quel coraggio non si è visto. E non arriverà.
Com’era facile attendersi, resta la distanza. Quella che non si misura in chilometri, ma in silenzi imbarazzati, risposte preconfezionate, sarcasmo non capito e una fastidiosa sensazione di essere presi in giro. La verità è che ieri non si è vista una conferenza stampa, ma l’ennesimo tentativo di anestetizzare un dolore sportivo e sociale che ormai ha superato la soglia della sopportazione. A Cosenza non c’è più solo delusione: c’è rabbia, sfiducia, umiliazione. E chi oggi si presenta per rappresentare questa società – con o senza colpe dirette – dovrebbe sapere che non basteranno né i numeri, né le buone intenzioni, né le promesse sottovoce. Perché qui non si tratta più di recuperare punti o progettare salvezze. Qui si tratta di recuperare il rispetto. E finché a metterci la faccia saranno consulenti infastiditi e addetti stampa fuori traccia e contesto, quella dignità resterà sepolta sotto le macerie di un progetto che, semplicemente, non esiste più. (f.veltri@corrierecal.it)

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