«Il colpo» alla mafia cinese. La “Bakeka” degli incontri erotici a Cosenza e «l’ala armata»
Blitz anche in Calabria. Scoperti gruppi delinquenziali cinesi. Uno dei metodi utilizzati è l’uso delle armi da fuoco

COSENZA Gli uomini e le donne della Squadra Mobile di Cosenza erano da tempo impegnati a raccogliere le prove necessarie a ricostruire un presunto giro di prostituzione attivo in tutto l’hinterland bruzio con una linea diretta che conduce in diverse province italiane. E’ quanto emerso, oggi, nel corso di una operazione conclusa in diverse province italiane con tredici arresti , 31 denunce, sanzioni amministrative per 73.382 euro e il sequestro di 22.825 euro.
L’indagine, coordinata dal Servizio centrale operativo, ipotizza l’esistenza di diversi delitti legati all’immigrazione clandestina, allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro, alla contraffazione di prodotti, alla distribuzione di stupefacenti e alla detenzione abusiva di armi.
Il sistema Bakeka a Cosenza
C’è un sito online dove domanda e offerta a sfondo sessuale si incontrano. Ci sono uomini in cerca di avventure erotiche, donne che accompagnano le call to action sessuali con foto di nudo e inviti espliciti a consumare rapporti. Un mercato di “libero” scambio di sesso online. Per chi indaga, alcuni di quegli annunci nasconderebbero una attività di prostituzione consumata all’interno di case di appuntamento o di centri benessere. Gli incontri sarebbero stati fissati attraverso utenze telefoniche ottenute proprio in alcuni dei siti di appuntamento online, tra i quali “Bakeca incontri”, come precisa la Questura di Cosenza in un comunicato.
Al termine del blitz concluso dagli investigatori cosentini, sono state denunciate, in stato di libertà, due soggetti di nazionalità cinese perché «violavano diverse fattispecie di reato previste dal Testo Unico sull’Immigrazione, legate alla gestione del fenomeno migratorio, nello specifico riguardo alla loro constatata permanenza illegale all’interno del territorio nazionale». Una delle persone raggiunte dal provvedimento è stata accompagnata nel centro di Permanenza per il Rimpatrio di Roma – Ponte Galeria, in attesa di essere espulso dal territorio italiano.
L’attività è proseguita con il controllo di 21 esercizi commerciali coordinati da cittadini cinesi, e l’identificazione di 51 persone risultate tutte regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
Le indagini dello Sco
Le indagini dello Sco che hanno portato a tredici arresti e 31 persone denunciate nell’ambito della comunità cinese in Italia, hanno evidenziato che nel nostro Paese operano diversi gruppi delinquenziali cinesi composti, di norma, da soggetti accomunati dalla provenienza dalla stessa zona o città della Repubblica popolare cinese. I gruppi criminali, precisano gli investigatori, sono diffusi in tutto il territorio nazionale, hanno contatti fra loro, sono autonomi, agiscono in particolare nelle regioni dove è più alta la presenza di cinesi stabilmente residenti in Italia. Ciascun gruppo è formato da un numero di variabile di persone, in molti casi appartenenti allo stesso nucleo familiare, che commettono delitti quasi esclusivamente in danno di connazionali. Il vincolo di appartenenza al gruppo è molto stretto e, secondo gli investigatori «con un radicato concetto di vendetta che può arrivare ad assumere il carattere della faida»: i gruppi criminali cinesi, come le mafie tradizionali, ricorrono, con estrema facilità alla intimidazione o alla violenza per raggiungere i loro obiettivi, praticando la regola dell’omertà e cercando di predominare il territorio dove operano. Uno dei metodi utilizzati per affermarsi sul territorio è l’uso delle armi da fuoco: è stata documentata la presenza di una vera e propria «ala armata» della delinquenza di matrice cinese, con il compito di intimidire e compiere gravi reati di sangue. Le attività investigative su tutto il territorio nazionale e quelle di acquisizione di informazioni hanno confermato che la criminalità cinese gestisce i propri affari illeciti in un costante «dialogo» con altri gruppi di nazionalità diverse, anche italiani.
Il doppio colpo alla mafia cinese
«La risposta dello Stato, oggi, è stata netta: indagini di altissimo livello, professionalità e determinazione esemplari a tutela dei cittadini onesti e dell’economia sana del Paese», ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sottolineando che «è stato inferto un doppio colpo alla criminalità di matrice cinese sul territorio nazionale, con due operazioni straordinarie». Da un lato, ha rilevato il titolare del Viminale, «la Polizia di Stato con un’attività “‘ad alto impatto” in 24 province italiane contro gruppi criminali cinesi radicati sul territorio e dediti a traffici illeciti, sfruttamento della prostituzione e del lavoro, contraffazione di prodotti, spaccio di droga e riciclaggio internazionale di denaro (…) si è colpito il cuore economico e operativo di organizzazioni strutturate e violente». Dall’altro, ha aggiunto Piantedosi, «la Guardia di Finanza con il sequestro di 741 milioni di euro, la chiusura di 266 società “cartiere” e il blocco di 400 conti correnti, ha smantellato un sistema di frode fiscale da 3,4 miliardi di euro e 596 milioni di Iva evasa. Un meccanismo complesso, alimentato anche dalla complicità di consulenti, che operava tra Marche, Lombardia e Piemonte». Due «azioni coordinate», ha concluso il ministro, «che dimostrano come la mafia cinese non sia solo un fenomeno locale, ma una realtà criminale transnazionale capace di muovere miliardi e di infiltrarsi nel tessuto economico».
Il sistema hawala
Tra le attività illecite associate alla criminalità cinese si segnala l’hawala, ovvero l’esercizio abusivo e clandestino dell’attività bancaria in grado di consentire il trasferimento in nero di ingenti somme di denaro da un continente all’altro, sistema spesso utilizzato dalle organizzazioni criminali – anche diverse da quelle cinesi – come mezzo di pagamento nell’ambito dei traffici criminali: stupefacenti, migranti e riciclaggio di denaro. (f.b.)
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