‘Ndrangheta nella Sibaritide, imprenditori vessati. «Fai trovare dieci carte, dobbiamo fare un paio di Cassazioni»
Qualcuno cede gratuitamente il raccolto, qualche altro si inchina al clan. «Il primo pensiero è il tuo»

COSENZA Il gup del tribunale di Catanzaro aveva confermato l’impianto accusatorio proposto dalla Dda di Catanzaro, rappresentata in aula dal pm Alessandro Riello, nei confronti degli oltre 50 imputati nel processo nato dall’inchiesta “Athena” – celebrato con rito abbreviato – contro la ‘ndrangheta nella Sibaritide. Erano state necessarie tre udienze al pubblico ministero prima di avanzare le richieste di pena nei confronti degli imputati. Vent’anni per Nicola e Leonardo Abbruzzese, la pena più pesante inflitta dal gup, il massimo previsto nel rito alternativo. 13 anni e 8 mesi di reclusione erano stati inflitti a Luigi Abbruzzese (cl. ’89), 14 anni e 2 mesi per Domenico Madio (cl. ’81). A distanza di mesi, dalla lettura del dispositivo, sono giunte le motivazioni.
Gli Abbruzzese e la Sibaritide
Gli Abbruzzese di Cassano allo Jonio, per l’accusa, sono presenti in maniera “capillare” sul territorio, capaci di mettere le mani su attività imprenditoriali grazie al compiacimento ed all’asservimento di alcuni imprenditori. La Sibaritide, dunque, sarebbe governata dal duopolio imposto dalle famiglie Abbruzzese e Forastefano, un tempo contrapposte e oggi capaci di sotterrare l’ascia di guerra in nome dei business illeciti e dei guadagni facili. Come quelli realizzati attraverso le estorsioni.
Imprenditori sottomessi
Chi indaga annota anche richieste di pagamento «pari a trentamila euro» da versare «a Luigi Abbruzzese e Pasquale Forastefano». E’ il caso di uno dei tanti imprenditori finiti nelle mire dei clan, che sin dal 2012 aveva «presentato denunce per danneggiamenti subiti; cinque quelle presentate nell’anno 2017». E poi ci sono i conti che non tornano, quando gli investigatori analizzano il flusso di denaro di alcune imprese con azioni intraprese del «tutto sconnesse rispetto ad una logica imprenditoriale, considerando che il computo consentito dai dati analizzati permette di notare elargizioni di frutta per decine di migliaia dì euro l’anno, che non trovano alcuna giustificazione causale in una ordinaria logica
imprenditoriale, se non la costrizione al loro verificarsi». Qualcuno abbozza una timida reazione, prova a sfuggire alle richieste di “consegna” imposte dagli Abbruzzese asserendo di non avere ancora iniziato le operazioni di raccolta frutta. Un tentativo vano, subito scoperto. «A me sono venuti a dire che hai iniziato già da tre, quattro giorni… oh, puoi, qua mi ha detto mio cugino, dice che ha visto il camion andare e venire, andare e venire». Immediata la replica. «Stiamo lavorando poco e niente, settimana prossima dovremmo iniziare un po’ di più» garantendo che avrebbe omaggiato l’amico e «il primo pensiero è il tuo, non è che c’è qualcun altro compà». Una frase che rassicura il clan e restituisce ai vertici il ruolo di egemoni sull’area di competenza.
I soldi per «le Cassazioni»
I danari al clan non bastano mai, molti quelli spesi per sostenere le spese legali di chi viene coinvolto in una delle tante operazioni antimafia concluse sul vasto territorio della Sibaritide. Da qui, nasce la richiesta pari a 10mila avanzata nei confronti di un imprenditore. «Per il 20 di luglio fai trovare dieci carte che ci servono!». La richiesta – per chi ha svolto le indagini – è motivata «secondo un modus operandi consolidato delle organizzazioni mafiose», sostenendo che quei soldi sarebbero serviti per sostenere delle spese legali. «Dobbiamo fare un paio di Cassazioni, lo sai eh…quanto ci vuole». (f.benincasa@corrierecal.it)
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