Catanzaro, tra ciò che cresce e ciò che manca. Cosenza, non è più solo calcio. Crotone super
Giallorossi in crescita ma serve qualcosa di più per il grande sogno. La crisi dei Lupi e la protesta della piazza. Il ruggito da grande dei pitagorici con un Maggio da applausi

Una vittoria, un pareggio e una sconfitta amara. È il bilancio della seconda giornata di campionato di serie B e C delle squadre calabresi. Sorride il Crotone, pensa positivo il Catanzaro, preoccupa sempre di più il Cosenza.
Catanzaro, tra ciò che cresce e ciò che manca
Il punto ottenuto sul campo dello Spezia, dopo il pareggio amaro contro il Sudtirol, restituisce al Catanzaro una classifica in equilibrio, ma anche sensazioni contrastanti. Da un lato, la solidità difensiva mostrata al “Picco”, dove agli avversari è stato concesso davvero poco. Dall’altro, quel pizzico di qualità offensiva che, a detta di Aquilani, è mancata per trasformare un buon punto in una grande vittoria.
Il Catanzaro c’è. Si vede. Si sente. Ma sa – e lo sanno tutti – che per andare oltre i confini di un campionato dignitoso servono scelte coraggiose, innesti mirati e un’identità che non si pieghi alle difficoltà di inizio stagione.
Lo ha detto con chiarezza capitan Iemmello, con parole pesanti come la fascia che porta al braccio. Lo ha ribadito il presidente Floriano Noto, che ha promesso un salto di qualità: «Alzeremo l’asticella». E in effetti, le due semifinali playoff consecutive sono ormai un ricordo che, per quanto dolce, non basta più. Il sogno Serie A, senza più ipocrisie, è ora una direzione chiara, più che un’utopia da tifosi.
A dare forza a questa ambizione sono le mosse di mercato. Se Tommaso Biasci saluta dopo stagioni che hanno lasciato il segno nel cuore della piazza, sono arrivati nomi di spessore: Federico Di Francesco, esterno rapido e intelligente, e Luca Pandolfi, attaccante moderno con margini ancora inesplorati. Due profili che parlano di concretezza e volontà di colmare ciò che, fin qui, è mancato. Non è escluso che entro la fine del giorno il ds Ciro Polito possa piazzare qualche altro colpo, un ultimo regalo per chi crede nella stagione del sorpasso. Perché l’impressione è chiara: serve ancora qualcosa, non tanto per competere, ma per imporsi.
C’è qualcosa di elegante nel Catanzaro che sta prendendo forma: nella coerenza delle idee, nella compostezza delle dichiarazioni, nella solidità con cui affronta avversari e giudizi. Ma c’è anche un filo di disincanto, un velo di amarezza gentile, come quella che accompagna chi sa che, per volare, servono ali più forti del vento. A La Spezia, Iemmello non ha brillato come una settimana fa. Pittarello è apparso intermittente. Eppure, da quei novanta minuti viene fuori una squadra viva, più matura, ma ancora incompleta.
Crema: l’arrivo di Federico Di Francesco e Luca Pandolfi – entrambi attaccanti di spessore – aggiunge qualità e varietà al reparto offensivo. Dopo l’addio commosso a Tommaso Biasci, simbolo delle ultime stagioni, la società dimostra di voler davvero alzare l’asticella. Due innesti che profumano di ambizione, progettualità e concretezza, in attesa della ciliegina sulla torta.
Amarezza: nonostante la crescita evidente, resta il rammarico per un’altra occasione sprecata. Lo stesso Aquilani ha ammesso che con un po’ di qualità in più, a La Spezia si poteva vincere. Iemmello e Pittarello stavolta non hanno inciso. E se il mercato non porterà subito un ulteriore colpo offensivo, il rischio è che al Catanzaro continui a mancare proprio quel dettaglio che fa la differenza.

Cosenza, non è più solo calcio
C’è sempre – inevitabilmente – quel momento in cui qualcuno, con fare svagato e voce fuori tempo, domanda: “Ma davvero tutto questo per una squadra di calcio?”. E ogni volta, a chi conosce il peso specifico del Cosenza calcio nella carne e nel cuore di questa città, viene da rispondere con uno sguardo lungo e silenzioso. Perché no, non è solo una squadra. Non è più neanche solo sport. È identità, è disagio, è rappresentanza. E da un po’, sempre più chiaramente, è diventata anche una faccenda politica. Basta guardare alle ultime scelte della società guidata da Eugenio Guarascio – patron che appare sempre più solo, sempre più distante dalla piazza bruzia – per capire che ogni mossa ha un peso specifico che travalica il campo. Basta ascoltare le reazioni degli amministratori locali, del Consiglio comunale, delle minoranze che da mesi ormai, seppure in modo inefficace, urlano a una sordità che sembra strutturale. Basta, soprattutto, osservare il termometro popolare: quella Cosenza che ieri ha scelto il silenzio degli spalti, il rumore fuori dallo stadio, la protesta corale. Il club sembra vivere una realtà parallela. Una narrazione tutta sua, dove la gravità del momento storico pare ancora non essere stata compresa. Dove la sua scelta di rifiutare il confronto è scambiata per strategia. E allora accade che perfino un gesto istituzionale, come il rifiuto del sindaco Franz Caruso all’invito per la partita contro la Salernitana, diventi una sentenza morale prima ancora che politica: «Una delle pagine più buie della storia sportiva della città», ha detto. Con un’accusa frontale: «Responsabilità totale della società». Parole pesanti. Che però, ancora una volta, sembrano rimbalzare come palloni su un muro. Perché la reazione della società è stata il solito gioco di specchi: un maxischermo piazzato fuori dallo stadio per chi non vuole entrare. Una mossa provocatoria per molti. Un’ulteriore conferma, forse, che il club non vuole o non sa più dialogare con la città. E dire che ieri, al netto della categoria (Serie C), si poteva vivere una serata diversa. Una nuova pagina della rivalità con la Salernitana, magari anche nel ricordo affettuoso di Padre Fedele, anima storica di questo tifo. Invece, il San Vito-Marulla si è presentato come un teatro muto. Un silenzio che ha fatto più rumore di qualsiasi coro. Sul piano sportivo, poi, la fotografia è ancora più sconfortante. A meno di 24 ore dalla chiusura del mercato (prevista alle 20), il Cosenza è un cantiere aperto. Una squadra sconfitta 2-1 da una Salernitana più solida e, soprattutto, con più senso del tempo. Eppure proprio Guarascio, nelle sue rare e rarefatte uscite pubbliche, aveva parlato di grandi traguardi nel breve termine. Un cortocircuito evidente. E il sospetto che la società preferisca l’isolamento alla condivisione. Ma a forza di chiudersi nel fortino, si rischia di dimenticare per chi si combatte.
Crema: non è certo un bel tempo per il calcio cosentino, ma se c’è qualcosa che ha ancora un sapore dolce è la compattezza. L’unione popolare. La risposta civile ma forte. Ieri la città, e la provincia intera, hanno parlato con un gesto chiaro: non entrare. Uno stadio vuoto non è solo un dato numerico, è un simbolo. È la città che alza la voce con il silenzio. E i tifosi delle due curve, assiepati fuori dal Marulla a tifare per i Lupi e contro la società, hanno ricordato a tutti che qui il calcio è ancora questione di dignità.
Amarezza: basterebbe guardare quel campo spelacchiato, sciatto. Uno specchio dello stato del calcio cosentino. Con una società refrattaria a ogni messaggio. Questo conflitto a distanza, sempre più aspro, non penalizza solo lo spirito della squadra (già fragile di suo) e del popolo cosentino, ma è un autogol gestionale enorme.

Il ruggito da grande del Crotone con un Maggio da applausi
Ci sono vittorie che contano più dei tre punti. Perché cancellano i dubbi, restituiscono certezze, rimettono in moto la macchina delle ambizioni. Il 4-0 rifilato dal Crotone al Team Altamura rientra esattamente in questa categoria. Una prova di forza, ma anche di maturità. Perché arrivare su un campo complicato dopo una sconfitta pesante e calare il poker, chiudendo la gara già nel primo tempo, è roba da squadra vera. Sì, perché questo Crotone ha capito la lezione. La falsa partenza contro il Benevento, ingenerosa per quanto visto nel complesso della gara, poteva trasformarsi in un tarlo. Invece è diventata uno stimolo. La risposta è arrivata con i toni giusti, con l’energia di chi non ha alcuna intenzione di vivere un’altra stagione da comprimario. E poco importa se non parte con l’etichetta della favorita numero uno per la promozione diretta: ciò che conta è la sostanza. E in questo avvio di stagione, i pitagorici hanno già messo in mostra le basi per puntare in alto. A cominciare dalla continuità tecnica garantita dalla conferma di Longo, fino alla solidità di un gruppo che, nella sua ossatura, ha mantenuto i volti e l’alchimia della scorsa annata. Contro l’Altamura è stata una sinfonia: ordine tattico, fame agonistica e cinismo sotto porta. Un mix letale, che ha mandato al tappeto l’avversario. E poi c’è lui, il nuovo volto della speranza rossoblù. Ma su questo, andiamo per ordine.
Crema: Maggio è la più bella sorpresa di questo avvio di stagione. Due gol da attaccante navigato, un assist che racconta visione di gioco e altruismo, e soprattutto una personalità fuori dal comune per un classe 2002. È arrivato in punta di piedi, ma sta già facendo rumore. È il simbolo della nuova linfa che il Crotone ha saputo iniettare nel suo progetto. Il ragazzo ha piedi buoni, testa sulle spalle e una naturalezza che impressiona. Gomez e Murano – pure bravi e concreti – gli lasciano volentieri la scena. Maggio se la prende con naturalezza. Se il buongiorno si vede dal mattino, qui siamo davanti a un potenziale crack. E la lungimiranza del club nel portarlo in rossoblù merita un applauso convinto.
Amarezza: eppure, in mezzo a tanto zucchero, quel retrogusto amaro resta. Perché basta chiudere gli occhi e tornare a otto giorni fa, a quel primo quarto d’ora shock contro il Benevento, per capire quanto pesi quella sconfitta. Due gol incassati troppo in fretta, senza nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo. Il rammarico è forte perché oggi il Crotone – quello visto ad Altamura – non avrebbe perso quella partita. (f.veltri@corrierecal.it)

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