L’impero di ‘ndrangheta dei Mancuso: guerre, separazioni e la “pace” imposta dallo “zio” Luigi
La “dinastia” della potente cosca di Limbadi analizzata nelle motivazioni della sentenza. Dalle contrapposizioni tra rami delle famiglie alla “strategia” del nuovo boss

VIBO VALENTIA Da oltre vent’anni ormai è considerata la più importante e potente cosca di ‘ndrangheta tra quelle attive nel territorio vibonese. Una egemonia emersa già dalla sentenza irrevocabile emessa al termine dello storico processo “Dinasty” secondo cui «l’esistenza di un sodalizio criminoso, operante nell’intera provincia vibonese, dall’ottobre 2001 all’ottobre 2003 era finalizzato al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio o contro la persona e all’intestazione fittizia a terzi delle proprie ricchezze…». Un’inchiesta che è servita inoltre a ricostruire quei tasselli mancanti – fino a quel momento – nello scenario criminale vibonese risalendo alla reale struttura del sodalizio, le affiliazioni e il modus operandi ma anche l’esistenza di alleanze criminali e di contrasti insorti tra le diverse organizzazioni mafiose del territorio. Una ricostruzione storica doverosa che il gup distrettuale di Catanzaro ha messo ben in evidenza nelle centinaia di pagine che costituiscono le motivazioni del processo di primo grado – celebrato con rito abbreviato – nato dall’inchiesta della Distrettuale antimafia “Maestrale”.
I due schieramenti
Frizioni che, peraltro, si sono verificate anche all’interno dello stesso contesto familiare riconducibile ai Mancuso, diventate ancora più insanabili dopo l’arresto dei capi storici della cosca: Luigi Mancuso e il nipote Giuseppe alias Peppe ‘mbrogghia, coinvolti e successivamente condannati, in via definitiva, nell’ambito dell’operazione “Tirreno”. Intanto, la riorganizzazione della società di Limbadi secondo due schieramenti: da una parte i fratelli Luigi e Cosmo Mancuso, entrambi appartenenti alla “generazione degli 11”, dall’altra la “fazione dei sette” la quale – a partire dalla sua detenzione – sarebbe stata diretta e organizzata da Diego Mancuso (cl. ’53) alias Addecu. Un fronte, però, particolarmente infuocato. Da subito, infatti, sono emerse fibrillazioni interne legate, successivamente, dai dissidi tra “Addecu” e Ciccio Mancuso (cl. ’57) alias “Tabacco”, sulla spartizione dei proventi delle comuni attività illecite. Una “biforcazione” della famiglia che ha visto Pantaleone “Scarpuni” Mancuso schierarsi con l’articolazione diretta dagli zii Cosmo e Luigi Mancuso, in posizione divergente rispetto a quella dei suoi fratelli Giuseppe Mancuso detto “Bandiera” e Francesco Mancuso (cl. ’71) vicini, invece, alle posizioni dei cugini Diego Mancuso e Peppe ‘Mbrogghia Mancuso.
Il leader “zio ‘Ntoni” Mancuso
Come ricostruito dalle inchieste e come riportato nelle motivazioni delle sentenza del processo “Maestrale”, sarà poi Antonio Mancuso (cl. ’38) alias “zio ‘Ntoni”, uno degli esponenti più carismatici della famiglia e riconosciuto come “figura autoritaria” da entrambi gli schieramenti. Sarà lui poi ad assumere il ruolo di leader per spegnere i contrasti tra le fazioni, anche per salvaguardare l’immagine dei Mancuso famiglia di ‘ndrangheta che, al di fuori, doveva sembrare più unita e compatta che mai per mantenere lo status autoritario e di supremazia rispetto alle altre cosche. Per queste regioni “zio ‘Ntoni” aveva proibito qualsiasi forma di violenza tra consanguinei ordinando, nel caso ve ne fosse stata la necessità, l’eventuale eliminazione fisica degli affiliati – i soldati – appartenenti alle due opposte fazioni.
Zio Luigi Mancuso e la pace imposta
La ricostruzione storica dei rapporti tra gli appartenenti alla cosca Mancuso ci porta al 2012 con il ritorno in libertà di Luigi Mancuso. Le successive intercettazioni effettuate all’interno del bar Tony di Nicotera, indicato dagli inquirenti quale «quartier generale» di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, hanno permesso di attualizzare l’evoluzione degli assetti interni alla cosca Mancuso, a cominciare proprio da “Scarpuni” «soggetto sanguinario e di fatto vertice della cosca fino a quei momento», progressivamente riavvicinatosi alla posizione dello zio Luigi Mancuso, «riconoscendone il carisma e l’ascendente criminale e al quale, per come emerso nel processo Dinasty, era sempre rimasto “fedele”». Dall’inchiesta “Rinascita-Scott” è emersa successivamente la posizione verticistica di Luigi Mancuso, l’unico in grado di mettere in atto una «strategia di pacificazione tra le varie articolazioni criminali insistenti nella provincia di Vibo Valentia». Il riferimento è alle storiche ‘ndrine “satellite” dei Lo Barba-Bianco, dei La Rosa, degli Accorinti, all’intessitura di più strette relazioni con i Fiarè- Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona e soprattutto al superamento degli atavici contrasti con la famiglia Bonavota di Sant’Onofrio, innescati come conseguenza della storica supremazia assunta dalla cosca di Limbadi. Per come è emerso, dunque, solo la sapiente strategia criminale dello zio Luigi Mancuso ha consentito di «rinsaldare i rapporti tra le varie articolazioni operanti nella provincia vibonese», garantendo la «pacifica perpetrazione, ciascuno per la propria parte, delle attività illecite dei gruppi quali usure, estorsioni, narcotraffico e soprattutto una graduale infiltrazione nell’economia attraverso vere e proprie imprese mafiose o comunque vicine. (g.curcio@corrierecal.it)
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