Il business della ‘ndrangheta a Mileto: vietato comprare terreni «senza autorizzazione mafiosa»
Le infiltrazioni nella compravendita di terreni per imporre un’estorsione sul prezzo d’acquisto. La “spartizione” tra le cosche e i detenuti da mantenere

VIBO VALENTIA Come un’agenzia immobiliare vera e propria: era la ‘ndrangheta a gestire la compravendita dei terreni a Mileto e dintorni, infiltrandosi tra le trattative private e imponendo un “costo” per la «mediazione mafiosa». In termini giudiziari e sintetici, un’estorsione, subordinata in primis al consenso e all’autorizzazione all’acquisto da parte del locale di riferimento. È quanto ha ricostruito l’accusa nell’ambito del processo Maestrale contro la ‘ndrangheta vibonese, arrivato a sentenza lo scorso marzo nel filone abbreviato. Nei giorni scorsi, sono state depositate dal gup distrettuale Piero Agosteo le motivazioni, che dedicano un intero capitolo alle infiltrazioni di più consorterie mafiose vibonesi nella compravendita di beni immobili.
Il controllo nella compravendita di terreni
Al centro della vicenda Michele Galati, ritenuto esponente della ‘ndrangheta di Mileto, e Francesco Rombolà, alias “u Pala”, che avrebbe svolto un ruolo da «intermediario» durante l’estorsione perpetrata a un soggetto interessato all’acquisto di un terreno nei pressi dell’ex casa circondariale di Mileto. Entrambi sono stati condannati dal gup, rispettivamente a 20 e 8 anni di carcere. Da questo episodio, per gli inquirenti, emerge come ‘ndrangheta controllasse il proprio territorio di riferimento, imponendo che ogni compravendita «fosse previamente autorizzata dalla criminalità organizzata». Una “richiesta” di permesso che, nel caso in questione, non ci sarebbe stata con Galati che avrebbe saputo della trattativa per vie terze. Una volta conosciuta l’identità dell’acquirente avrebbe contattato altri membri della ‘ndrangheta vibonese, tra cui Giuseppe Antonio Accorinti, con il quale – scrivono – «condivideva l’intento di affermare l’egemonia della consorteria mafiosa sul territorio» anche tramite la pretesa estorsiva quantificata, in questo caso, in 25 mila euro.
L’acquisto del terreno vicino all’ex carcere
In diverse conversazioni captate dagli investigatori, Galati avrebbe fatto più volte riferimento alla compravendita del terreno nei pressi dell’ex carcere. Per gli inquirenti il presunto esponente della ‘ndrangheta miletese si arrogava «il potere di stabilire chi fosse legittimato ad acquistare determinati terreni». Tutto, rispettando le divisioni territoriali imposte dalla ‘ndrangheta al fine di “regolamentare” i vari affari illeciti e prevenire faide e contrasti tra cosche. In questo contesto, Galati – secondo la ricostruzione – riteneva «inconcepibile» che una persone di San Gregorio d’Ippona avesse acquistato terreno senza chiedere l’autorizzazione. Un gesto motivato dal fatto che – come si evince da una conversazione – «non conoscono il rispetto». Essendosi ormai conclusa la trattativa, alla cosca non restava altro che decidere le modalità di riscossione dell’estorsione, optando per la richiesta di una percentuale sull’importo del terreno ed escludendo quindi l’ipotesi di recuperarlo, dal momento che la sua posizione veniva ritenuta «non strategica né di interesse per il gruppo criminale».
L’incontro con l’acquirente e la “negoziazione”
Nel primo incontro con l’acquirente, quest’ultimo avrebbe cercato di giustificarsi di fronte a Galati sull’avvenuto acquisto senza consenso della ‘ndrangheta, addirittura offrendosi di «versare una somma di denaro a titolo estorsivo, pur di non compromettere il rapporto di “amicizia”». Una cifra che, nei giorni successivi, sarebbe stata quantificata da Galati in 30 mila euro, somma da dividere con le articolazioni mafiose del vibonese, tra cui Fiarè, Accorinti e Cichello. Per il gup si tratta di un quadro che restituisce «l’allarmante contesto mafioso permeante il territorio vibonese». Di fronte ai tentativi di negoziare la somma da parte della vittima, Galati avrebbe fatto cenno ad eventuali «azioni ritorsive» in caso di esito negativo dell’estorsione, sostenendo anche più volte che la cifra imposta non dipendeva da lui ma dal fatto che «nel comune di Mileto ci sono 30 detenuti» da mantenere. Dopo reiterate insistenze da parte della vittima nel tentativo di ottenere uno “sconto” sulla cifra, l’estorsione si sarebbe infine conclusa con la consegna a Galati della cifra pattuita. Per il gup «emerge con chiarezza» la responsabilità dei due imputati, con Galati «fulcro dell’intera vicenda», mentre Rombolà avrebbe avuto il compito di trasmettere le «imbasciate», in particolare sulla rimodulazione della pretesa estorsiva. (ma.ru.)
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