Il furto al Comune di Mileto: quando le chiavi del Municipio finirono in mano alla ‘ndrangheta
Nella sentenza del rito abbreviato viene ricostruito l’episodio del “colpo” negli uffici comunali da parte del presunto boss e con un «amministratore infedele»

VIBO VALENTIA Un ex amministratore comunale «infedele», le chiavi del Comune nelle mani del presunto boss e un furto all’interno della casa dei cittadini. Sembrano gli ingredienti di un racconto lontano negli anni, di quando la ‘ndrangheta negli anni ’80 faceva il bello e il cattivo tempo nei paesini calabresi, infiltrandone le amministrazioni e le istituzioni. Tanto da eleggere sindaco di Limbadi, nel 1985, addirittura un latitante, il boss Francesco Mancuso, prima che intervenisse Sandro Pertini a sciogliere l’amministrazione, quando ancora non esisteva la legge sullo scioglimento. Sempre nel Vibonese, non distante dal paese di origine dei Mancuso, un episodio dal tenore simile sarebbe accaduto a Mileto pochi anni fa, come ricostruito nelle pagine di Maestrale. Il presunto boss ritenuto al vertice del locale di Mileto Michele Galati, con il supporto di un «amministratore comunale infedele» (non legato all’amministrazione attuale, ndr), sarebbe riuscito a ottenere le chiavi del Comune per compiere un furto finalizzato ad «asportare le matrici necessarie alla produzione fraudolenta di documenti di identità».
Le indagini degli inquirenti
L’episodio lo ricostruisce sulla base del quadro probatorio il gup distrettuale Piero Agosteo nella sentenza del rito abbreviato che ha portato alla condanna a 20 anni di carcere Michele Galati, accusato tra le varie cose di un furto aggravato all’interno del Municipio miletese risalente a gennaio 2019. Le indagini partono dalla denuncia di un funzionario comunale, recatosi dai Carabinieri dopo aver scoperto che ignoti si erano introdotti all’interno degli uffici comunali, forzato un armadietto blindato e infine sottratto 128 carte d’identità in bianco, le relative matrici e 450 euro in contanti. Fin dai primi accertamenti, per gli inquirenti è apparso chiaro come il ladro ignoto avesse avuto la disponibilità delle chiavi sia del portone blindato che dell’armadietto. Per questo «appariva più che verosimile» l’ipotesi che gli autori fossero «collegati all’amministrazione comunale o, comunque, in possesso di informazioni provenienti dall’interno dell’ente».
Le chiavi e il furto avvenuto a gennaio
Dalle successive indagini, gli inquirenti hanno individuato il presunto coinvolgimento proprio di Michele Galati, insieme ad Angelo Bartone, ritenuto esecutore materiale del reato, e l’ex vicesindaco di Mileto Antonio Gaetano Prestia. Per loro, che hanno scelto il rito ordinario, non c’è ancora sentenza di condanna, che è arrivata invece per Michele Galati nel rito abbreviato. Il gup, nelle motivazioni della sentenza, ricostruisce come il presunto boss di Mileto e Bartone si sarebbero recati da Prestia «ottenendo da quest’ultimo l’impegno a consegnare le chiavi del palazzo municipale». Dalle conversazioni intercettate sarebbe emersa «l’esistenza di un rapporto consolidato tra gli interlocutori». Il furto si sarebbe poi consumato tra il 5 e il 7 gennaio 2019, come dimostrato anche dalla denuncia del funzionario comunale. Per il gup Galati non solo avrebbe svolto il ruolo di promotore del piano delittuoso, ma anche di «intermediario». Nel parlare con Bartone avrebbe anche fatto uso di un «codice comunicativo allusivo» per verificare che il furto fosse effettivamente riuscito. Un’ulteriore prova, secondo il gup, sarebbe una conversazione tra Galati e altri esponenti della ‘ndrangheta vibonese, nella quale rivelerebbe «dettagli riservati non accessibili a soggetti estranei all’esecuzione del reato». Per il giudice, infine, non si sarebbe trattato di «un’iniziativa isolata di natura meramente privata», ma per agevolare l’associazione mafiosa di Mileto. (ma.ru.)
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