Dalla finanza all’evasione fiscale, così al Nord la ‘ndrangheta fa affari con l’economia legale
Le recenti parole del procuratore Alessandra Dolci confermano un radicamento profondo e silente in Lombardia, dove la criminalità organizzata si traveste da impresa

La mafia non è più solo pizzo, violenza o traffico di droga. È, soprattutto, un sistema economico parallelo che si alimenta dell’illegalità quotidiana, dell’evasione fiscale e delle scorciatoie d’impresa. È il cuore dell’allarme lanciato da Alessandra Dolci, procuratore aggiunto di Milano con delega alla Direzione Distrettuale Antimafia, intervenuta a Pavia al Collegio Santa Caterina nel ciclo di incontri “Le mutazioni delle mafie al Nord” promosso dal Centro studi “Virginio Rognoni” e dal professor Enzo Ciconte.
«La mafia è diventata soprattutto criminalità economica, e fa affari con l’evasione fiscale – ha spiegato Dolci – un reato che in Italia non si è mai voluto davvero combattere. Ma oggi, purtroppo, c’è sempre meno informazione sul fenomeno mafioso».
Le parole della magistrata suonano come un monito in una Lombardia che da decenni rappresenta il baricentro economico delle organizzazioni criminali. Dalla Milano della finanza alle province di confine, le nuove mafie (in particolare la ‘ndrangheta calabrese) operano come un’impresa perfettamente integrata nei meccanismi del mercato. «I mafiosi ormai fanno gli imprenditori – ha aggiunto Dolci – e vengono colpiti soprattutto per reati finanziari: emissione di fatture fittizie, bancarotte, evasione e caporalato».
Dalla “Platì del Nord” a un radicamento diffuso
Nel suo intervento, Dolci ha citato anche un dato territoriale preciso: l’arrivo di famiglie provenienti da Platì in diversi comuni tra Milano e Pavia, aree di margine dove la ‘ndrangheta ricostruisce relazioni e affari. Se trent’anni fa Buccinasco era definita “la Platì del Nord”, oggi il fenomeno – ha sottolineato la magistrata – «è più diffuso territorialmente». Un consorzio mafioso lombardo che non ha più bisogno di esercitare controllo con la forza, ma che si rigenera nel tessuto economico attraverso imprese, cooperative e società di servizi. Molte di queste realtà, formalmente legali, garantiscono evasione contributiva, taglio dei costi del lavoro e manodopera sfruttata. È qui che la criminalità si fonde con l’economia grigia, diventando invisibile ma potentissima.
L’ultima operazione tra Milano e Pavia
Un volto “moderno” che non cancella però i traffici tradizionali. Proprio il 14 ottobre scorso, un’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano ha portato a 15 arresti (12 in carcere e 3 ai domiciliari) per un maxi-traffico di cocaina proveniente dal Sud America. L’indagine ha documentato un intreccio di rapporti tra le ‘ndrine Papalia-Carciuto, Marando-Trimboli e Barbaro “U Castanu”, storiche articolazioni calabresi radicate in Lombardia, e un gruppo criminale campano legato al clan Di Lauro di Napoli. Le investigazioni, condotte dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Milano con il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata, hanno accertato l’importazione di cocaina per un valore stimato in oltre 18 milioni di euro. La droga, destinata alle principali piazze di spaccio lombarde, veniva gestita con canali criptati di comunicazione e una logistica ben strutturata tra Milano e la provincia di Pavia. È l’ennesima conferma di come la Lombardia sia divenuta non solo area di riciclaggio, ma anche snodo operativo del narcotraffico internazionale.
La Lombardia nella relazione Dia: una regione laboratorio del potere mafioso
Questi dati trovano riscontro nell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, presentata nel maggio 2025, che descrive la Lombardia come una “regione calamita” per le organizzazioni criminali di diversa matrice. Secondo la Dia, la ‘ndrangheta mantiene una posizione di predominio, grazie a una strategia di infiltrazione silente e a una capacità di rigenerazione strutturale che le ha consentito di radicarsi in profondità nel tessuto produttivo. Non più clan visibili, ma reti d’impresa e professionisti collusi, che offrono servizi a basso costo grazie all’evasione fiscale e all’elusione contributiva.
«In molti casi – scrive la Dia – le imprese mafiose operano come vere e proprie società di servizi, attirando imprenditori che, da vittime, finiscono per diventare corresponsabili del sistema criminale».
L’organizzazione calabrese è oggi articolata in una “camera di controllo” denominata La Lombardia e 24 locali diffuse nelle province di Milano, Como, Monza-Brianza, Lecco, Pavia e Varese: un mosaico territoriale che copre quasi l’intero nord-ovest.
Quello che emerge – tra le parole di Dolci, le inchieste giudiziarie e i rapporti ufficiali – è la fotografia di una mafia postmoderna, meno visibile ma più pervasiva. Una mafia che non chiede il pizzo ma propone partnership, che non intimorisce ma seduce con margini di guadagno e con la promessa di “semplificare” la vita alle imprese. E difficoltà più grande, come sottolineato dalla procuratrice, è la perdita di attenzione pubblica: si parla meno di mafie proprio mentre queste si rafforzano, camuffandosi da normalità economica. E in una regione che rappresenta il cuore produttivo d’Italia, l’illegalità di mercato rischia di diventare sistema. (f.veltri@corrierecal.it)
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