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elezioni a new york

Come l’establishment voleva espellere Mamdani

L’analisi di Francesco Bevilacqua

Pubblicato il: 06/11/2025 – 8:41
di Francesco Bevilacqua*
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Come l’establishment voleva espellere Mamdani

Gli USA sono anticipatori dei processi sociali dell’Occidente, che a quella nazione si omologa sempre, almeno dal secondo dopoguerra in avanti. Lo abbiamo visto anche con le elezioni di due giorni fa a New York. Nel commentare la vittoria del socialista Mamdani a sindaco della “grande mela”, gli opinionisti italiani che si professano (ma non sono) di sinistra si dimostrano insolitamente freddi di fronte a questa clamorosa novità. Mentana, in particolare, al TG de La7 di ieri sera ha candidamente detto che «Mamdami non piace all’establishment democratico», ammettendo così che anche il progressista Partito democratico, che fu di Clinton ed Obama, ha una sorta di massoneria interna che tesse trame ed immobilizza qualunque cambiamento reale. E quindi, aggiungo io, grazie alla proprietà transitiva, Mamdani non piace neppure a Mentana ed a quelli come lui. L’elenco degli scontenti lo potete trovare in un mio articolo di qualche giorno fa sul Corriere della Calabria dal titolo “La setta dei giornalisti estinti”: Gurber, Formigli, Rampini, Mieli, Riotta, Floris, Giannini etc. che, poverini, erano tutti intenti a suggerire a partiti ed opinione pubblica che «le elezioni si vincono al centro».

La vittoria di Mamdani

Ma cosa è accaduto davvero a New York con queste elezioni? È accaduto che Mamdani ha prima, inavvertitamente, vinto le primarie del partito democratico contro Andrew Cuomo, pezzo da 90 dei dem, ex governatore dello stato di New York. Ed è accaduto anche che dinanzi a questo fatto, l’establishment del partito è corso ai ripari, sino ad arrivare a consentire che Cuomo, nullificando il senso stesso delle primarie, corresse contro Mamdani da indipendente. Così, quest’ultimo si è trovato contro non solo il repubblicano Curtis Sliwa, ma ha dovuto difendersi anche dal fuoco amico del suo stesso partito. Risultato: a Mamdani è andato il 50,4% dei voti, a Cuomo il 41,6% ed a Sliwa solo il 7,1% (dati tratti da Fanpage).

L’establishment contro Mamdani

Dove sono finiti, dunque i voti della destra? È evidente: al democratico “affidabile” Cuomo. «Preferisco un democratico ad un comunista» aveva tuonato Trump prima delle elezioni, con un endorsment emblematico che ha lasciato a piedi il “camerata” repubblicano Sliwa e regalato decine di migliaia di voti della destra a Cuomo. E si è mobilitata anche la parte più retriva del Partito Democratico, quella, che da ultimo, nel 2020 elesse il guerrafondaio Joe Biden proprio contro Trump, “regalandoci” la guerra in Ucraina e la crisi economica che stiamo attualmente scontando nel tanto decantato Occidente. Ma di establishment interno ai dem ha parlato anche lo storico ed anziano leader della sinistra americana Bernie Sanders: «La vittoria a New York del giovane democratico socialista – ha detto Sanders – dimostra chiaramente che i progressisti possono imporsi anche senza l’appoggio dell’establishment del partito».

Un consociativismo occulto

Cosa dimostra tutto ciò? Che in realtà fra la destra e quella sinistra “annacquata” e “connivente” vi è in realtà un consociativismo occulto: favorire l’attuale assetto sociale dell’Occidente fatto di enormi disuguaglianze, di capitalismo finanziario, di prepotenza politica e mediatica, di odio verso l’intervento pubblico, di adorazione idolatrica dello sregolato dio mercato, di neocolonialismo camuffato talvolta di bieco razzismo di destra, talaltra di paternalismo di sinistra. Ecco svelato il perché, negli ultimi trent’anni, ad esempio in Italia, o era la destra o era la sinistra a governare nulla cambiava realmente (e gattopardescamente). E lo stesso dicasi, salvo lodevoli eccezioni, è capitato e capita in tutto l’Occidente. Se, dunque, Mamdani dovesse tener fede alle sue promesse elettorali, ne vedremo di belle. E non è escluso, stando alle bellicose dichiarazioni di Trump contro Mamdani, che assisteremo al primo tentativo di colpo di stato “interno” fatto dagli USA, già molto esperti di quelli contro altri governi legittimamente eletti in giro per il mondo. Parafrasando Henry Kissinger potremmo far dire a Donald Trump: «Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre una città diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori newyorkesi possano essere lasciati a decidere da soli».

*Avvocato e scrittore

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