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Il Cosenza di Buscè è più solido del suo club. Crotone: segnali di vita, ma la strada è in salita

Nel caos tra società e piazza, i silani si dimostrano “big” nella testa. La vittoria degli Squali certifica i progressi, ma il calo nella ripresa parla di fragilità mentali ancora non superate

Pubblicato il: 17/11/2025 – 7:30
di Francesco Veltri
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Il Cosenza di Buscè è più solido del suo club. Crotone: segnali di vita, ma la strada è in salita

Con il torneo cadetto fermo per la pausa Nazionali, fari puntati questa settimana solo sul torneo di C. Belle e convincenti le vittorie di Cosenza e Crotone, rispettivamente contro Latina e Sorrento, con i Lupi che iniziano a spaventare seriamente le big Salernitana, Catania e Benevento.

Il Cosenza di Buscè è più solido del suo club

La vittoria di Latina, la seconda consecutiva, non è solo un altro passo in avanti in classifica: è un rosicchiare paziente, metodico, quasi caparbio verso quella vetta che il Cosenza continua a sfidare con una serenità che intorno non c’è. Perché la squadra viaggia, eccome se viaggia, ma lo fa dentro il solito paradosso locale: da un lato la piazza inquieta, dall’altro una società che fatica a parlare la stessa lingua. In mezzo, loro: i giocatori di Buscè, che stanno praticando una forma ardita di resistenza sportiva.
Il merito principale del Cosenza, al di là dei numeri, è proprio questo: vincere in un ambiente che con le altre “big” non ha nulla a che vedere. Il “San Vito-Marulla” è diventato un luogo sospeso, più teatro di un contenzioso che di una passione collettiva. Le crepe tra club e tifoseria sono ampie, note, croniche. Insanabili. Eppure la squadra non si appiattisce, non si concede al caos, anzi: sembra alimentarsi di quell’assenza di protezione che altrove paralizzerebbe. È, oggi, più forte del contesto che la circonda.
Buscè – che (unico difetto) più che lanciare messaggi all’esterno dovrebbe rivolgersi al suo padrone di casa – lo ha detto a suo modo: sognare non è proibito, ma bisogna restare umili. L’umiltà, a Latina, ha assunto la forma di una partita gestita con una maturità nuova: vantaggio dopo quattro minuti, poi ordine, equilibrio, una calma quasi insolita per i Lupi nelle trasferte complicate. E tutto questo mentre l’allenatore ammetteva, senza troppi giri di parole, che «abbiamo problemi seri in alcuni ruoli». A Latina ha messi in campo quattro mancini in una sola linea difensiva. L’arte dell’arrangiarsi, come l’ha definita lui stesso.
Il vero nodo resta gennaio. Con un organico ridotto all’osso e un mercato estivo che definire timido sarebbe un eufemismo, ora bisognerà capire cosa davvero voglia fare la società. Perché Buscè potrà anche avere la pazienza del monaco tibetano, ma non può essere costretto a vivere di rattoppi: servono rinforzi, non uscite mascherate da «valorizzazioni».
Il paradosso si ripete ogni settimana: la squadra è più credibile della società. Mostra identità, attaccamento, compattezza. Ha trovato un modo per rimanere in piedi nonostante tutto.

Crema: più della vittoria, più dell’ennesimo gol di un Mazzocchi che sta vivendo la sua stagione migliore, più delle giocate pulite di Florenzi o di un equilibrio tattico sempre più riconoscibile, ciò che sorprende è l’unità di questo gruppo. Si vede, si sente. L’esultanza dedicata a Baldovino Cimino (stagione finita) è uno di quei gesti che non si inventano. Difficile dire se il Cosenza potrà reggere fino a gennaio con questa rosa così corta. Ma oggi sogna perché vuole sognare. E il pubblico, nonostante le ferite, un po’ ricomincia a crederci: la squadra è l’unica che prova davvero a riavvicinare la città anche al “San Vito Marulla”.
Amarezza: l’amarezza, questa settimana, è un lutto che supera il calcio. La morte di Giuseppe Milicchio, voce storica e inconfondibile dei Lupi, ha colpito Cosenza in un punto sensibile: il cuore della sua memoria sportiva. Milicchio non era solo un giornalista; era un “fedelissimo”, uno che viveva il Cosenza come la sua gente, che parlava la lingua delle curve senza mai smarrire la sua. Non capita spesso che un cronista venga salutato dagli ultrà con affetto autentico. A lui sì. A Latina gli striscioni di Curva Sud e Curva Nord lo hanno ricordato con parole semplici ma definitive: “Ciao Giuseppe Fedelissimo in eterno” e “Rete, Rete, Rete. Per sempre”. Se n’è andato di lunedì, il suo giorno, quello della sua storica trasmissione. Da un anno era parte della famiglia del Corriere della Calabria e de L’altro Corriere tv. Proprio oggi sarebbe dovuto andare in onda. Non servono altre parole: alcune presenze sono così solide che, quando vanno via, sembrano ancora lì.

Crotone: segnali di vita, ma la strada resta in salita

Alla fine sono arrivate le risposte che un ambiente intero aspettava con il fiato corto. Non tanto per il 3-1 al Sorrento (vittoria necessaria come l’ossigeno dopo tre scosse di assestamento e un pari che sapeva più di cerotto che di cura) ma per come il Crotone ha riannodato il filo con se stesso. Con il proprio gioco, la propria identità, il proprio orgoglio.
Emilio Longo ha ringraziato tutti, ma non si lascia incantare dal primo raggio di sole dopo settimane di nuvoloni. Sa bene che la squadra ha riacceso il motore, ma il viaggio verso la continuità resta pieno di curve.
La lettura della gara – finalmente lucida, coraggiosa, anche sfacciata nel primo tempo – è stata la vera notizia. Il Crotone ha dominato, costruito, accompagnato l’azione con una leggerezza che nelle ultime uscite sembrava aver perso. Certo, Longo lo ha ricordato senza troppa poesia: «Dominare per novanta minuti è utopia». E la ripresa lo ha dimostrato, con quel blackout breve ma sufficiente a evocare i fantasmi recenti: ritmo calato, qualche scalata sbagliata, la sensazione che bastasse un soffio per rimettere tutto in discussione.
Eppure il Crotone stavolta non si è sciolto. Anzi: è risalito, si è rimesso in carreggiata, ha chiuso una gara che in un altro momento avrebbe rischiato di diventare un thriller.
Bene anche chi, fino a ieri, sembrava vivere nelle retrovie. Cocetta maturo come non mai, Leo pronto a sfruttare il suo momento, Piovanello reinventato prima punta con risultati brillanti. È in questi dettagli che si misura la salute di un gruppo: nella disponibilità, nelle risposte di chi non è protagonista designato. E poi i gol, quelli pesanti: Gomez che torna a ruggire e Maggio che si sblocca. Due firme che illuminano il tabellino ma soprattutto rassicurano una piazza che da settimane fatica a riconoscere il proprio Crotone. La vittoria serve, ossigena, ringalluzzisce. Ma non cancella le scorie di un mese complicato né il peso specifico dei punti lasciati per strada. Il campionato non aspetta nessuno, e la vetta, oggi, è una montagna quasi impossibile da scalare.

Crema: il ritorno al gol di Gomez (nono centro) e di Maggio profuma di buon auspicio. Se il Crotone gioca con questo ritmo, questa lucidità e questa cattiveria offensiva, può far male a chiunque. Il materiale c’è, la qualità pure: ora serve soltanto metterla in fila, una domenica alla volta.
Amarezza: un punto in quattro partite non si cancella con una sola boccata d’aria. Ha pesato e pesa ancora sul morale di una piazza che sognava un campionato solo di vertice, non una rincorsa già così complicata. Longo fa bene a parlare di passione e identità mai smarrite, ma il tempo degli alibi è finito: se il Crotone vuole davvero svoltare la stagione, questa vittoria dovrà essere un inizio. Non una parentesi. (f.veltri@corrierecal.it)

Maggio del Crotone

Foto Cosenza calcio ed Fc Crotone

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