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oltre il silenzio

Contro la violenza e contro la ’ndrangheta: le donne sfidano la cultura del dominio

Tra discriminazioni sui luoghi di lavoro e post sessisti, le nuove generazioni comprendono «quanto sia grave la privazione della libertà personale»

Pubblicato il: 21/11/2025 – 17:00
di Fabio Benincasa
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Contro la violenza e contro la ’ndrangheta: le donne sfidano la cultura del dominio

COSENZA Nel 2024, si stima che i codici rosa (percorsi di accesso per vittime di violenza) registrati nei Pronto soccorso in Italia siano circa 250.000. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dalla Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza (Simeu). Il dato «è stabile negli ultimi anni», ma si tratta di un «indice drammatico» che evidenzia «la gravità costante degli episodi della violenza di genere nel nostro Paese». Ma le «implicazioni di natura assistenziale che i codici rosa impongono sono compiti per i quali, a fronte della massima disponibilità degli operatori, spesso le risorse programmate sono insufficienti», avvertono i medici d’urgenza. 
Secondo l’Istat, nel report 2025 sulla violenza contro le donne, aumentano dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati. Dati che certificano come sia aumentata la consapevolezza.
Di violenza si parla anche con riferimento ai luoghi di lavoro, un trend in crescita come testimoniano i numeri snocciolati da Dhebora Mirabelli del progetto Safe: «7 donne su 10 lamentano discriminazioni sul luogo di lavoro anche se ricoprono ruoli apicali o posizioni manageriali». La violenza anche negli ambienti di lavoro è «un tema assolutamente attuale, il numero oscuro è altissimo perché le denunce sono minime» dice ai nostri microfoni la sostituta procuratrice di Catanzaro, Marisa Manzini.

Marisa Manzini

La violenza digitale

Ha fatto il giro del web, il video diventato virale girato dalla sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Matilde Siracusano, esponente di Forza Italia. Smartphone in mano, ha mostrato alcuni dei messaggi ricevuti colmi di rabbia ed insulti. «La violenza digitale è di assoluta rilevanza, dietro questi post si nascondo identità sconosciute. L’utilizzo del linguaggio sessista deve rendere consapevoli della necessità di affrontare seriamente la questione e lo si fa solo con la cultura. C’è un problema di prevenzione alle nostre latitudini, le norme ci sono, la nostra a livello europeo è anche tra le più avanzate ma occorre arginare lo scoglio culturale».

Donne e ‘ndrangheta

«Le donne nella criminalità organizzata calabrese vivono il riflesso di una società patriarcale, un elemento culturale – ancora oggi – duro da scalfire, però in evoluzione» sottolinea Giovanna Truda, professoressa associata di sociologia generale, specializzata in sociologia del diritto all’università degli studi di Salerno. Tuttavia se a “pentirsi” è una donna, se a tradire la famiglia è la fimmina, ecco che la rarità diventa l’eccezione. Ci sono stati esempi di ribellione, di coraggio – alcuni pagati a caro prezzo -da parte di donne decise a fuggire da contesti di ‘ndrangheta. «Ci sono donne collaboratrici che recidono il legame con il crimine, ma ci sono molte donne testimoni di giustizia da proteggere. La figura femminile nella criminalità mi è molto caro, le donne hanno un ruolo di assoluta rilevanza perché possono cambiare il volto della ‘ndrangheta in Calabria. Significa avere la capacità di incrinare il fenomeno, fino a debellarlo», sostiene Marisa Manzini al Corriere della Calabria. «La donna non ha mai assunto il ruolo di capo nella ‘ndrangheta, magari solo per certi periodi è stata reggente, ma non ci sono processi che hanno consentito di appurare un ruolo di capo», aggiunge Manzini che chiosa: «Le donne inserite nei contesti criminali sono legate a quei disvalori perpetrati in famiglia, le nuove generazioni devono e possono aiutarci a cambiare questa mentalità. E’ possibile farlo portando loro delle testimonianze, parlandone nelle scuole, occorre metterli in condizione di comprendere quanto sia grave la privazione della libertà personale». (f.benincasa@corrierecal.it)

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