Disabilità pietra di scarto o testata d’angolo
Quando si vivono alcuni luoghi la quotidianità non è mai identica, accade sempre qualcosa che ti sorprende

Quando si vivono alcuni luoghi la quotidianità non è mai identica a sé stessa, accade sempre qualcosa di nuovo, che ti sorprende. A volte può essere il sorriso di un bambino che sbucandoti da dietro le spalle ti mostra i suoi bianchi denti e i suoi occhi grandi e lucidi che spiccano ancora di più sulla sua pelle nera. Così è nell’Orfanotrofio di Sakété dove ancora una volta ci troviamo assieme alle suore che lo gestiscono e alle immancabili maman che accudiscono i bambini più piccoli. A settembre ne sono arrivati altri sei, tra questi quattro gemelline, alle quali le suore hanno provveduto a dar loro un nome: Anna e Maria, Giuditte e Giselle. Sono piccolissime, talmente fragili che la loro mano non riesce ad avvolgere per intero il mio dito indice che una di loro, Anna, tenta invano di stringere.

Proprio ieri è capitato qualcosa che davvero nessuno di noi se lo aspettava. Sentiamo suonare il clacson, segno che qualcuno bussa al grande cancello verde dell’ingresso principale dell’Orfanotrofio. È un pick-up della polizia repubblicana nuovo di zecca e pieno di gendarmi. Scendono e ci salutano con molta gentilezza e rispetto, il motivo della loro visita a queste latitudini non promette quasi mai niente di buono e di questo, le suore soprattutto, ne sono ben consapevoli. Il capopattuglia che sta davanti e l’ultimo a scendere, porta tra le braccia una bambina vestita alla meno peggio, piuttosto disorientata, non riesce a tenere sollevato il capo che gli casca sul grembo. La affida ad una maman che subito se ne prende cura e le suore si raccolgono assieme ai gendarmi di fianco a quel mezzo bianco e lucido. Fanno cenno di avvicinarci e così partecipiamo anche noi a quella riunione certo non prevista. Il capopattuglia racconta in breve la storia di questa bambina: “ci è stata segnalata la sua presenza da un passante che per caso percorreva un tratto a piedi della strada principale che collega il Sud-Est del Benin con il Nord, nei pressi di Pobé”, una piccola città del Sud non molto distante da Porto Novo che conosciamo bene. Ogni anno andiamo a portare la nostra auto per la visite technique, una sorta di fantomatica revisione che in Benin, a differenza dell’Italia, viene richiesta ogni anno. Altro escamotage del governo beninese per fare cassa a scapito sempre dei più deboli, perché i ricchi, che anche qui esistono e non sono pochi, vengono lasciati in pace ad accumulare denaro e capitali. D’altronde, si sa, da che mondo e mondo, chi ha di più finisce sempre con il pagare di meno. Quel gendarme alza gli occhi al cielo prima di abbassare lo sguardo e con gli occhi un po’ lucidi racconta che giunti sul posto indicato da quel passante l’hanno trovata all’interno di un pacco di cartone quasi come se fosse spazzatura da disfarsi in qualche modo. Probabilmente, questa bambina è portatrice di una forma di disabilità, per questo è stata scartata. Da queste parti lo Stato non dà alcun tipo di aiuto per le famiglie che fanno i conti ogni giorno con le disabilità dei propri cari. Qui, in Benin, immagino anche in diversi altri Stati africani, ci sono dei centri che li ospitano gestiti sempre da religiosi, ma anche loro, come il “nostro” Orfanotrofio, vivono di provvidenza. I disabili, nel cosiddetto Terzo Mondo, sono i più poveri tra i poveri anche qui considerati una sorta di “pietre di scarto”, ma per ragioni assai diverse dal cosiddetto Primo Mondo: per ragioni di fame e di economia della famiglia. Sono tantissimi i bambini che non potendo andare a scuola, vengono educati sin da piccoli a lavorare e a partecipare al sostegno dell’economia familiare. Mentre ascoltavo quel racconto non potevo fare a meno di guardare il viso di quella bambina. Risuonavano nella mia mente le parole coraggiose dell’indimenticato vescovo di Molfetta, don Tonino Bello, che ha sempre respirato l’anelito del Salmista: “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo” (Sal. 118). Scriveva così: “Fino a quando nelle nostre città la costruzione del Regno non sarà organizzata dagli amici del cambio, dagli appassionati della rivolta, dai poveri che si ribellano, dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi vi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente spogliato di tutto come Cristo, da chi viene abbeverato con l’aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino. E i macigni continueranno a costruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversiva”. Anche noi, nel nostro piccolo, attendiamo che il mondo finalmente si adoperi affinché la “pietra di scarto” diventi “pietra angolare”. Ciò sarà possibile se comprendiamo che quell’ essere “di scarto” non equivale a essere insignificante perché non produce, è solo marginale, come tutto ciò che vive nelle periferie del mondo. La marginalità è una realtà aperta che può sempre diventare pietra angolare o tipicità. Le periferie, poi, non sono come le città. Sono luoghi più vasti, variegati, che vivono l’esperienza della complessità e per questo sono luoghi d’incontro, di confronto, una sorta di laboratorio di idee perché ci permettono di stare dentro la realtà di chi è escluso, di chi non conta. Forse allora accoglieremo anche il significato del Natale ormai prossimo: Gesù Cristo è nato in una stalla a Betlemme e ha vissuto gran parte della sua esistenza terrena nell’insignificante marginalità di Nazareth, per intuire meglio il mondo e gli uomini che lo abitano e donarci una via d’uscita: il Vangelo.
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