Dalla nascita alla fragilità odierna, la Provincia di Vibo tra “rivolte” e instabilità politica
Tra il rischio di perdere i paesi montani, i litigi per il consiglio e la “debacle” alle regionali, il territorio vibonese attraversa un momento difficile

VIBO VALENTIA Sembra passata un’eternità da quando nel 1992 venne decretata la nascita della Provincia di Vibo Valentia. Una nuova era per il territorio e la comunità vibonese, il giusto riconoscimento arrivato dopo una lunga battaglia politica e sociale per rivendicare autonomia e importanza in Calabria. Fu il senatore Antonino Murmura, scomparso da pochi anni e considerato il “padre” della provincia vibonese, a spingere per l’istituzione dell’ente separandosi da Catanzaro, svolta che venne accolta positivamente dai vibonesi, “ottimisti” in vista del nuovo corso politico e istituzionale. Ma quella stagione che doveva dare nuovo slancio al territorio non è mai partita del tutto o, meglio, si è fermata ben al di sotto delle aspettative. Poco più di trent’anni dopo Vibo Valentia vive una crisi politica e istituzionale che rischia di “disgregare” un ente tanto giovane quanto, ad oggi, fragile.
La crisi e le elezioni provinciali
Una fragilità che si è resa del tutto evidente nelle ultime settimane: in primis con la caduta del consiglio provinciale avvenuta ad ottobre, con il presidente Corrado L’Andolina fermo sulle sue posizioni e chiuso a punti di incontro con i partiti politici, soprattutto con quelli che l’avevano sostenuto. Una frattura che non è stata risanata e ha portato il centrodestra a boicottare le nuove elezioni, che – di conseguenza – rischiano di diventare un mero passaggio formale che condurrà ad una nuova fase di “stagnazione” politica a Palazzo ex Enel. Dubbi espressi anche dall’altro lato, da un centrosinistra vibonese che ha riacceso le tensioni interne.
La rivolta dei paesi montani
Ma la “minaccia” più grande per la Provincia vibonese arriva dalle montagne. Dalle Serre, più precisamente. La volontà dei rivoltosi paesi montani, “capeggiati” da Serra San Bruno, di tornare sotto Catanzaro amplifica ancor più la crisi della provincia vibonese, già depauperata e impoverita dagli effetti della legge Delrio. La secessione di Serra, Simbario, Brognaturo, Fabrizia, Mongiana e Spadola determinerebbe un’ulteriore riduzione di popolazione oltre alla perdita di uno dei luoghi più turistici della regione. Nel consiglio comunale di Serra in cui si è dibattuto sulla proposta, dall’opposizione è emerso anche il tema del numero di abitanti della provincia vibonese, già tra quelle con la popolazione più bassa, che scenderebbe in un colpo solo di almeno 10 mila persone. Un’ulteriore riduzione che peggiorerebbe una situazione già critica a causa dello spopolamento, dell’emigrazione e della denatalità.
La (poca) rappresentanza politica
Un declino che, accusano i politici vibonesi all’unanimità, sarebbe stato causato soprattutto dalla legge Delrio, ritenuta la “panacea” di tutti i mali che ridimensionò il ruolo della provincia. A rendere ancora più complessa la posizione vibonese è proprio il panorama politico: alle ultime elezioni regionali si è assistito a una (drammatica) debacle vibonese: nessuno dei quattro consiglieri regionali è stato rieletto, fatta eccezione per Vito Pitaro. Nessun rappresentante politico vibonese ha ottenuto un posto in Giunta. Al momento entrambi gli schieramenti principali, a livello locale e nazionale, non sembrano garantire una “voce” autorevole al territorio vibonese, come dimostra la querelle per le elezioni del consiglio di palazzo ex Enel. Un paradosso se si considerano le potenzialità e il ruolo da traino turistico della provincia vibonese. (ma.ru.)
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