Pedagogia dell’Antimafia: polemica a distanza tra il procuratore Capomolla e Filo Rosso su tolleranza zero e riduzione del danno della droga
Siamo nel cuore del problema nell’eterna contesa tra repressione ad oltranza e riduzione del danno

COSENZA Merita attenzione e riflessione laica il recente invito a parlare all’Unical da parte del professore Giancarlo Costabile docente di pedagogia dell’Antimafia al procuratore della Repubblica di Cosenza Vincenzo Capomolla per contrastare la diffusione della sostanze stupefacenti sul territorio.
Bene ha fatto il docente nel presentare l’iniziativa a ricordare che «la lotta alla droga non può essere solo repressione ma educazione alla libertà anteriore; non solo difesa della legge, ma cura dell’anima collettiva». Al seminario ha anche partecipato Beniamino Fazio capo del Centro Dia di Catanzaro il quale durante il suo intervento ha invitato tutti gli studenti presenti ad alzarsi in piedi a sostegno dei magistrati come Capomolla e Nicola Gratteri. Invito raccolto e tutti in piedi a segnare che si sta tutti dalla stessa parte con un gesto che potremmo definire prepolitico.
Capomolla come si legge nei resoconti dei cronisti presenti e dall’intervista realizzata dal Corriere della Calabria si è espresso in termini molto securitari sui metodi di risoluzione della drammatica questione. Secondo il procuratore della Repubblica «occorre mettere in campo ogni sforzo sul piano della repressione sia del mercato delle sostanze stupefacente sia dello spaccio locale» non mancando di prestare attenzione «alla rete di protezione per i soggetti più esposti all’introduzione dell’uso di stupefacenti, i giovani primi di tutto». Inoltre da conoscitore del problema il procuratore ha anche fatto notare che «anche le droghe leggere non lo sono più di tanto perché contengono principi attivi elevatissimi rispetto a quelli che si presentavano solo qualche anno fa».
Siamo nel cuore del problema nell’eterna contesa tra repressione ad oltranza e riduzione del danno. A me sembra che il principio attivo cresce enormemente nelle droghe leggere alla luce della repressione che non riesce a ridurre i profitti e le ragioni di un narcotraffico globale capitanato dalla ‘ndrangheta.
Quando l’erba era gestita da allegri frekkettoni non aveva gli effetti allarmanti di oggi e di contro le sostanze vendute dai club legalizzati che si vorrebbero abolire non hanno mai raggiunto effetti allarmanti contribuendo alla riduzione del danno, perché assumere qualsiasi droga, anche nelle sue più lievi forme ricreative, è materia da maneggiare con attenzione, soprattutto per i minori.
Il seminario dell’Unical ha ricevuto attenzione e critica soltanto dal collettivo Filo Rosso (che nel prossimo dicembre celebra i suoi 30 anni di attività) da sempre attestato su posizioni antiproibizioniste che ha stigmatizzato un atteggiamento così univoco e securitario rispetto alla materia. Certo un seminario di pedagogia antimafiosa meglio avrebbe beneficiato di contraddittorio. Al netto di questo, comunque, Filo Rosso ha richiamato i documenti dell’Onu sulle politiche di riduzione del danno e della limitazione dei rischi, le numerose sperimentazioni di città europee che si affidano alle stanze del consumo e i club della cannabis consapevole.
Il tema è molto complesso e delicato. Ma a guardare quello che accade nelle carceri affollate da detenuti arrestati per droga o per reati connessi al consumo la repressione non riesce a venire a capo di imperi criminali economici che dominano la globalizzazione. Si potrà sgominare anche la piazza di spaccio della propria città, dove ormai la cocaina gira nella quota proletaria di venti euro, ma il ciclo di rifornimento non verrà mai meno trovando sempre sostituzione di nuovi pusher a volte anche semplici consumatori.
Nonostante le tonnellate di cocaina sequestrate nei porti di Gioia Tauro o Rottardam la lotta repressiva al contrabbando internazionale mi sembra quella di chi vuole svuotare il mare adoperando un secchiello.
Sulla questione droga è necessario avere una sguardo globale. Flussi economici enormi sono determinati dalla produzione, soprattutto cocaina, di paesi sudamericani. L’Europa è aggredita, fornisco due notizie recenti poco conosciute.
Un giudice di Anversa ha diffuso una lettera anonima sul sito americano Politico in cui ha spiegato come il Belgio si stia ormai trasformando in un narcostato. Nel porto di Anversa la corruzione sarebbe ormai «endemica, perché spostare un container può fruttare 100 mila euro a un operaio corrotto» denuncia il giudice che parla anche di un clima crescente di violenza e intimidazione: «Omicidi, torture, sequestri e attacchi contro civili innocenti sono ormai strumenti di potere dei cartelli». Costretto a vivere per quattro mesi in una casa protetta dopo alcune minacce, il giudice lamenta l’assenza totale di supporto istituzionale: «Nessuna autorità ci contatta, nessuno ci offre aiuto o indennizzi». E conclude: «La domanda non è se lo Stato di diritto sia minacciato, perché lo è già. La vera domanda è come il nostro Stato sceglierà di difendersi».
Sabato scorso a Marsiglia seimila persone sono scese in piazza per una marcia bianca in ricordo di Mehdi, 20 anni, ucciso per ritorsione contro l’attivismo alla lotta alla droga del fratello Amine. Mehdi voleva diventare poliziotto. Il fratello ha scritto un libro di successo, vive sotto scorta, è diventato un personaggio pubblico che dialoga con le autorità politiche francesi. Come in Messico anche a Marsiglia si uccide impunemente chi si oppone ai narcotrafficanti. Ha dichiarato un magistrato francese: “Stiamo facendo la stessa cosa da 20 anni e non stiamo andando da nessuna parte”. Purtroppo la politica tolleranza zero e i pattuglioni nei quartieri a rischio alto non vengono a capo della questione.
Vale la pena richiamare in sintesi il precedente del proibizionismo per l’alcol.
Grazie ad un vasto movimento d’opinione che fondeva principi puritani e prevenzione di danni sociali tra il 1919 e il 1933 negli Stati Uniti venne messo il bando alla fabbricazione, trasporto, vendita e importazione di alcolici. Chi propose la norma annunciava un’epoca felice priva di disperazione nei quartieri popolari e carceri svuotate da reati commessi da alcolisti. Andò diversamente. Aumentò il numero dei minori che iniziarono a bere nei locali del contrabbando e soprattutto Al Capone e i suoi simili si arricchirono molto come raccontano i film dedicati a quel periodo.
Il proibizionismo aveva fallito. Oggi che bere è convenzionalmente legale, sappiamo che bene certo non fa, anche chi lo produce ne promuove un uso consapevole e non smodato.
Reprimere soltanto non risolve la questione della droga come fu per l’alcool. Discuterne nel merito è questione politica di rilievo. Speriamo non resti soltanto una polemica tra un motivato procuratore della Repubblica e una indomita associazione antiproibizionista vecchio stampo.
Ma vi siete accorti che Ornella Vanoni si è spenta sulla sua poltrona chiedendo un gelato e una canna? Chissà dove l’aveva comprata? (redazione@corrierecal.it)
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