L’ombra criminale sul Ponte da 13,5 miliardi. L’allarme perenne: «’Ndrangheta e Cosa nostra insieme oltre le rivalità»
Un fantasma che l’opera si porta dietro da anni. «Nella relazione del 2000 già la Dia ne parlava». Il monito di Gianpiero Cioffredi, dell’Ufficio presidenza di Libera

ROMA Il rischio che un’opera colossale possa diventare un affare per la criminalità organizzata è un fantasma che continua a perseguitare il progetto del Ponte sullo Stretto. Gli appetiti criminali che ‘ndrangheta e Cosa nostra potrebbero avere in relazione a un’opera da 13,5 miliardi di euro continua a preoccupare chi, in tal senso, invita a una vigilanza continua. Un’ombra che torna ad allungarsi con forza, proprio a pochissimi giorni del corteo nazionale “No Ponte” in programma a Messina il prossimo 29 novembre. A lanciare il monito è stato questa volta Gianpiero Cioffredi, dell’Ufficio di presidenza nazionale di Libera che, durante la conferenza stampa di presentazione della manifestazione, ha definito l’opera come «il più grande scempio della storia repubblicana» per i suoi impatti ambientali, sociali ed economici, ma soprattutto per l’etica pubblica: «Uno scempio che apre fortemente lo spazio per mafie e corruzione».
Cioffredi ha ricordato che non si tratta di un timore recente, invitando a leggere le relazioni investigative storiche: «Non lo diciamo noi basta, leggersi le relazioni della Dia degli ultimi 20 anni, la relazione del 2000 della Dia già parlava: le mafie si stanno componendo oltre le rivalità per controllare il progetto del ponte di Messina che sicuramente prima o poi si farà». Questo riassetto, che ad oggi – ha spiegato Cioffredi – costituisce un vero e proprio «tavolo di compensazione di interessi oltre le rivalità tra la ‘ndrangheta, ricordiamo che la mafia a Messina è una propaggine della ‘ndrangheta, ma ad oggi il tavolo è composto da Cosa Nostra palermitana e cosa nostra catanese in particolare su alcuni settori che sono quelli più esposti: dal movimento terra e calcestruzzo ai trasporti, dalla logistica alla guardiania dei cantieri e allo smaltimento dei rifiuti».
I moniti: dalla Dia all’Anac e don Ciotti
Cioffredi ha rilanciato poi le parole del colonnello Beniamino Fazio, capocentro della Dia di Catanzaro, che nella sua ultima relazione presentata a giugno – come ricordato – ha messo un punto fermo sulle possibilità di infiltrazione: «È possibile costruire il ponte sullo Stretto di Messina, senza che la ‘ndrangheta infiltri nei lavori? Ve potete levare dalla mente», disse.
Cioffredi ha poi specificato che il problema non è realizzare le opere: «Nelle opacità di istruzione del progetto, nelle opacità nelle irregolarità di legittimità del progetto, c’è uno spazio enorme per mafia e corruzione». Per questo, l’associazione ha chiesto che «si riapra un tavolo» di confronto, ribadendo un principio fondamentale: «Qualsiasi spirito di progresso, qualsiasi tentativo di modernizzazione non può prescindere dal principio di legalità. Noi, anche in questa vicenda del Ponte, stiamo assistendo a una delegittimazione di tutti i vincoli e i presidi di legalità previsti dalla costituzione, prima l’Anac, poi la Corte dei conti, che si associano alla delegittimazione della magistratura. Una democrazia che non riconosce i vincoli e presidi di legalità è una democrazia che si impoverisce e diventa davvero un rischio notevole per la convivenza civile e per i cittadini».
L’allarme si aggiunge a una lunga serie di moniti lanciati nel corso del tempo, quando la realizzazione dell’opera è ritornata al centro dell’agenda politica. Anche il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, è intervenuto più volte sul tema, mettendo in guardia sulla gestione delle risorse: «Ovunque ci sono grandi risorse occorre avere molta attenzione». Busia ai nostri microfoni aveva criticato la scelta di riattivare il vecchio progetto senza una nuova gara, sottolineando come l’Anac avesse fatto rilievi sulla necessità di garantire la massima trasparenza negli affidamenti. A suo dire, una gara competitiva avrebbe «garantito possibilità maggiore, in questa fase, senza il rischio di incorrere in problemi legati all’applicazione della direttiva europea, maggiore trasparenza, maggiore valorizzazione e possibilità di far sì che l’opera potesse recepire le migliori tecnologie senza appoggiarsi a un progetto che ormai risale a molti anni fa».
E tornando a Libera, l’allarme più forte resta quello lanciato dal fondatore e presidente dell’associazione, don Luigi Ciotti. La sua frase, che divenne oggetto di accese polemiche, riassume il rischio che l’opera porterebbe con sé: «Il Ponte sullo Stretto non unirà solo due coste, ma certamente due cosche».
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato