La nuova vita di Gaia, “ambasciatrice dell’ospedale di Cosenza”. «Sono viva, non porto più gli occhiali e mangio ancora i friarielli»
L’intossicazione da botulino e la paura. «Quando si è chiusa la porta della Rianimazione ho pianto, ho 24 anni e ne avrò 25, 26 e poi 27»

COSENZA La sua storia ha commosso tutti. Gaia Vitiello non perde mai il sorriso, non lo ha fatto neanche quando è entrata nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Annunziata di Cosenza a seguito dell’intossicazione da botulino che rischiava di ucciderla. La giovane napoletana, era in vacanza a Diamante e come tanti aveva consumato un panino acquistato nel solito food truck, dove spesso si rifugiava per un pranzo veloce. Quella passione per i friarielli, «da buona napoletana», rischiava di esserle fatale. Oggi, Gaia è in Thailandia per lavoro e in video collegamento – nel corso dell’evento “Botulino: il veleno che ferma il respiro” – ha ripercorso quei drammatici momenti e ringraziato medici e infermieri che l’hanno curata e aiutata a risollevarsi dopo giorni difficili.
La porta del reparto si chiude
Studentessa, 24 anni, Gaia è originaria di Boscotrecase un paese in provincia di Napoli. Dopo essere stata dimessa dall’ospedale Annunziata è diventata “ambasciatrice dei valori dell’azienda ospedaliera di Cosenza“. «Nei giorni di ricovero ho avuto paura, ma mai mi sono sentita sola. Quando il corpo si indebolisce, quando perfino respirare o ingoiare richiedeva uno sforzo tutto ciò che davo per scontato cambia volto: le piccole cose diventano enormi, un sorso d’acqua, un cucchiaio di omogeneizzato sono vere conquiste». Il flashback prosegue. «Raccontare questa storia significa riviverla, guardarla negli occhi, senza paura. Sono passati ormai quattro mesi da quando ho mangiato quel panino. Sono stata ricoverata in terapia intensiva nelle prime ore dell’8 agosto 2025. Non ho molti ricordi, ho tentato di rassicurare con un sorriso mia madre e mia sorella, poi la porta del reparto si è chiusa ed è scesa una lacrima».
La paura di non farcela
«Non sapevo quello che sarebbe successo», aggiunge Gaia. «Ho ricevuto il siero il giorno dopo, ho atteso il decorso e dopo giorni trascorsi in terapia intensiva sono stata trasferita al reparto di medicina generale. Dopo la dimissione, la ripresa non è stata immediata: per un mese ho avuto problemi di vista, è stato necessario ricorrere alla fisioterapia. La ripresa richiede pazienza, più di quanto forse una persona della mia età immaginerebbe». Domandarsi il perché sia successo è inutile. «La verità oggi è che una risposta non c’è, alcune cose accadono ed è più saggio concentrarsi su ciò che viene dopo».
L’affetto in reparto
Vivere con la paura di morire, senza avere certezze sul decorso, pesa come una spada di Damocle sulle spalle di una giovane catapultata in corsia dopo il sogno di una meritata vacanza in Calabria. «La sensibilità delle persone che ho incontrato e l’amore di quelle che non mi hanno mai lasciato hanno fatto la differenza. La terapia intensiva aperta è stata fondamentale, in quel momento poter vedere la mia famiglia, mio padre, mia madre e mia sorella, poter sentire le loro voci è stata per me una potentissima cura. Mentre parlo sento un misto di emozione, responsabilità e riconoscenza. Se la mia voce oggi può essere utile ad un paziente, a un medico o un infermiere allora quanto accaduto diventa meno difficile da comprendere. Grazie, è un onore essere viva. Sono Gaia, ho 24 anni e ne avrò 25, 26 e poi 27. Non porto più gli occhiali, vado in vacanza a Diamante e mangio ancora tantissimi friarielli». (f.benincasa@corrierecal.it)
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