Catanzaro, l’equilibrio ritrovato (a metà). Gli imprevisti inevitabili del Cosenza. Crotone, ritorno al futuro
Aquilani migliora il passo, ma soffre ancora l’avvio e la difesa. A Foggia emersi sfortuna e limiti dei Lupi. Gli Squali ora devono decidere se vivere di rimpianti o di rincorse

Poteva essere un tris di vittorie, invece il Cosenza è caduto al fotofinish a Foggia (e avrebbe potuto vincerla se Garritano avesse trasformato il rigore al 90′). Restano così due i successi per le calabresi di B e C.: ottimo il Catanzaro in rimonta sull’Entella, positivo ma senza entusiasmare il Crotone contro il Giugliano.
Catanzaro, l’equilibrio ritrovato (a metà)
Quella del Catanzaro contro l’Entella di sabato scorso rientra nella categoria delle partite che misurano non solo la classifica, ma la temperatura psicologica di una squadra. Aquilani l’aveva chiamata «spartiacque»: un termine abusato nel calcio, ma che stavolta calzava a pennello. Perché le sue Aquile avevano bisogno di una sera così, non tanto per riempire la colonna dei punti quanto per scacciare quella sensazione di essere sempre un passo indietro rispetto alle proprie possibilità. E la risposta, pur tra luci e ombre, è arrivata. Il Catanzaro di oggi non è più quello smarrito dell’inizio stagione: è una squadra che sbaglia, si espone, barcolla, ma non cade. E soprattutto reagisce. Non è affatto poco, se ripensiamo a com’era messa solo un mese e mezzo fa.
Aquilani, nella sua onestà intellettuale – che non è virtù scontata per un allenatore giovane – lo ha detto chiaramente: «Entriamo sempre molli, non mi piace». E forse questo è il vero nodo che divide il Catanzaro dal salto di qualità. I primi quindici minuti continuano a essere un atto di autolesionismo, una vulnerabilità mentale che costringe poi la squadra a rimettere insieme i pezzi e rincorrere ordine e ritmo. Ma quando recupera lucidità, il Catanzaro è una squadra viva, presente, in crescita. Lo dicono i numeri: 13 punti nelle ultime sei gare. Lo dice il rendimento dei singoli: Pontisso che gioca da leader, D’Alessandro che illumina, Iemmello che segna quando serve. Lo dice perfino la stessa Entella, che nonostante un eurogol e un rigore non è bastata a scalfire la voglia delle Aquile di uscire dal Ceravolo con il petto un po’ più alto. Mentre gli ex Caserta e Vivarini – che a Catanzaro avevano trovato l’oro e hanno deciso di cercare altrove diamanti che non c’erano – inciampano in una nuova stagione complicata, Aquilani comincia a costruire, lentamente ma in modo riconoscibile, proprio come avevano fatto i suoi colleghi su quella panchina prima di lui. Si intravede un progetto, non ancora definito, ma con una sua dignità tecnica e mentale.
Crema: la crema di questa fase sta tutta nella crescita dell’organico. Pontisso e D’Alessandro sono la spina dorsale emotiva, Cassandro una conferma, Iemmello il solito leader. E poi c’è la classifica, che finalmente smette di fare paura e inizia a somigliare a una promessa: zona playoff, non per caso ma per evoluzione.
Amarezza: l’amarezza, invece, è la stessa che ritorna puntuale ogni settimana: troppo fragili dietro, troppo permeabili a ogni fiammata avversaria. Non basta parlare di “miglioramenti”: questa squadra è costruita per creare, ma rischia di vanificare tutto a causa di disattenzioni che non appartengono a un gruppo maturo. Aquilani lo sa: il problema è più mentale che tattico. Il salto di categoria emotivo – più che tecnico – passa proprio da qui.
Gli imprevisti inevitabili del Cosenza
In pochi minuti può cambiare tutto: giudizi, umori, pronostici. Il calcio è una creatura capricciosa, ma ieri allo Zaccheria ha superato sé stesso. Perché se Luca Garritano avesse infilato almeno il secondo rigore al 90’, oggi parleremmo di un Cosenza dal passo sicuro, spinto da un destino che profuma di rincorsa alla B. E invece è bastato l’errore-bis dal dischetto del figliol prodigo rossoblù per ribaltare opinioni e stati d’animo. La beffa, poi, è che la partita il Cosenza l’ha pure persa.
Il punto, però, è un altro: forse non è cambiato davvero niente.
A Foggia – contro l’ultima della classe – molti si aspettavano un Cosenza autoritario, perché la differenza di qualità, almeno negli undici, è netta. Ma c’è una verità che questa squadra ripete come un mantra da mesi: quando ti arrangi, quando sopperisci come puoi a lacune evidenti, la giornata storta è sempre dietro l’angolo. Ed era già capitato più volte quest’anno.
La gara, va detto senza drammi, il Cosenza se l’è complicata da solo. Un avvio leggero mentre il Foggia ci metteva la vita; qualche rotazione necessaria per far respirare chi non ha il dono dell’ubiquità (Ricciardi su tutti); la scelta, comprensibile ma forse non ideale, di far calciare il secondo rigore ancora a Garritano; e poi lo shock di un campionato affrontato con una rosa forte ma corta, cortissima.
Dopo settimane di sforzi, anche lo stop imprevisto può avere una sua logica. Resta però quella sensazione amara, che s’insinua da tempo: in una piazza dove la frattura tra club e tifoseria è un fattore, inciampi come questo pesano più del dovuto. Perché ogni limite emerso ieri è figlio di un’estate in cui il mercato non ha consegnato i rinforzi che servivano per puntare subito in alto. E ora i punti dalla vetta tornano ad essere cinque. Non un abisso, ma nemmeno un dettaglio. Il futuro prossimo passa da qui: con quanti punti di distacco arriverà il Cosenza a gennaio? E cosa deciderà di fare la società quando il mercato offrirà, finalmente, un’altra occasione?
Crema: la reazione dopo lo svantaggio, l’ennesima prestazione di un Ricciardi determinante — anche dalla panchina, perché pure i migliori devono rifiatare — dicono che questo Cosenza ha la fibra giusta per rialzarsi subito. La squadra è forte, viva, e conserva una struttura mentale da grande. Il problema, semmai, è che una squadra ambiziosa dovrebbe avere più di un Ricciardi in organico, non uno solo a cui chiedere ogni volta il miracolo.
Amarezza: Garritano è cuore, polmoni e identità del Cosenza. Contro il Benevento aveva trasformato un rigore pesantissimo, ieri ne ha sbagliati due e la squadra è crollata con lui. Succede anche ai migliori, ed è perfettamente umano. Ha chiesto scusa a squadra e tifosi, ma non era necessario. Resta, però, la domanda, inevitabile ma senza cattiveria: al 90’, con la tensione che tagliava l’aria, non sarebbe stato più saggio affidare il secondo rigore a qualcuno mentalmente più leggero? A volte la lucidità non è una virtù tecnica: è un atto di protezione. Anche verso chi ami di più.
Crotone, ritorno al futuro
C’è sempre un momento, in ogni stagione, in cui una squadra deve decidere se essere il contorno o il piatto principale. Il Crotone questa scelta la rimanda da settimane, intrappolato tra il passo falso di Cerignola, il riscatto in Coppa e quella classifica che più che un promemoria sembra uno specchio di verità: impietoso, nitido, difficile da addolcire. La vittoria contro il Giugliano, però, è arrivata come quelle folate di vento che non cambiano la direzione del viaggio, ma ti ricordano che l’aria esiste ancora. Più che la qualità delle occasioni, allo Scida sabato scorso è andata in scena una prova di postura. Di quelle in cui non si cerca l’applauso, ma la conferma, forse, di avere finalmente deciso chi si vuole essere. Ordine, misura, cinismo: tre parole che non fanno spettacolo ma creano sostanza. La squadra di Longo ha giocato la partita che doveva, non quella che avrebbe voluto: un dettaglio che nel calcio determina chi resta nel gruppo e chi prova a salirne un gradino. Il Giugliano, ordinato e puntuto come da copione, aveva impostato la serata per togliere ritmo e lucidità. Missione riuscita a metà. Perché quando la gara s’è chiusa negli spazi stretti, il Crotone non ha sbagliato l’unica cosa che non doveva sbagliare: il momento. Zunno ha aperto il campo, Gomez l’ha chiuso come fa un capitano vero: con la semplicità che hanno solo quelli che non devono dimostrare più niente. Ma la chiave della vittoria non è stata davanti: è stata dietro. Merelli sicuro, il reparto centrale più reattivo che elegante, la capacità, finalmente, di soffrire senza sbandare. Longo lo ha detto senza giri di parole: squadra in crescita, capace di imbruttirsi quando serve, lucida nel capire dove il match si poteva vincere e dove bisognava solo sopravvivere. È un buon segnale? Sì. È abbastanza? No. Perché il Crotone non ha più il lusso dell’attesa. È una squadra che sa giocare, ma deve decidere se vuole contare.
Crema: capitan Gomez, decimo gol stagionale, è la faccia pulita di questo Crotone. Non solo i gol, fondamentali, ma l’idea di leadership che porta in campo: silenziosa, pesante, contagiosa. Se il Crotone ha una certezza, è lui. E sì, ha ragione Longo: ora gli altri lì davanti devono cominciare a togliersi la giacca e contribuire al banchetto.
Amarezza: la classifica resta quella che è: una colata fredda di realtà. Il primo posto è scappato via prima ancora delle luci di Natale e questo brucia. Ma se è vero che le stagioni non si redigono a dicembre, è altrettanto vero che senza continuità questa vittoria resterà solo un’eccezione. Il Crotone deve scegliere adesso se vuole vivere di rimpianti o di rincorse. (fra.vel.)
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