Il Cosenza resta a galla con il peso delle sue fratture. Crotone, la svolta che non arriva mai
I Lupi vincono, resistono e si sfogano con Buscè, ma non cancellano un clima logoro. A Catania prestazione dignitosa degli Squali ma identità incerta: il ko non è un crollo, ma un messaggio

Il Cosenza è tornato a sorridere, ma contro il Picerno è riemersa la stanchezza di una rosa corta, costretta a tirare la carretta sin dall’inizio del torneo. Chi si aspettava la svolta stagionale del Crotone a Catania è rimasto ancora una volta deluso. Oggi tocca al Catanzaro, impegnato sul campo del Modena.
Cosenza a galla con il peso delle sue fratture
C’è una qualità che il Cosenza di questa prima parte di stagione ha mostrato più di ogni altra: la dignità della fatica. Quella capacità, e caparbietà, di rialzarsi dopo ogni scivolone, senza alzare troppo la voce ma nemmeno abbassare lo sguardo. A Foggia era arrivata una sconfitta che avrebbe potuto pesare come un macigno, soprattutto perché figlia più dell’episodio che della prestazione. Il doppio rigore sbagliato da Garritano aveva trasformato una potenziale vittoria in un dolore improvviso, e con essa l’inerzia della classifica: dalla vetta a cinque punti. Un colpo non da poco. Eppure, come già accaduto altre volte, i Lupi hanno ricominciato a correre. Stavolta senza scintille, senza goleade, senza il passo brillante di qualche settimana fa. Ma hanno vinto. Lo hanno fatto contro l’ultima della classe, è vero, ma in un momento in cui la rosa corta presenta il conto, gli infortuni bussano alla porta (quello di Mazzocchi, l’ennesimo, uscito in lacrime dal campo), e il carburante è sceso sotto la riserva. In giornate così, vincere vale doppio. È servito ancora lui, Achour: il ragazzo che entra e cambia l’aria, il ritmo, talvolta il destino. Il suo terzo sigillo stagionale ha rimesso il Cosenza al terzo posto, accanto a una Salernitana che, almeno sulla carta, doveva essere altrove. E invece i rossoblù sono lì, agganciati con le unghie a un treno che passa veloce, troppo veloce per chi, come Buscè è costretto a reinventare ruoli e gerarchie ogni settimana. Uno sforzo che inizia a presentare il conto, e a gennaio, se non prima, servirà una mano. Vera, concreta.
Il “modello Cosenza” di Guarascio che aspetta, riflette e poi forse interviene (solo se conviene), anche stavolta rischia di costare caro. Il tecnico rossoblù ieri a fine gara ha detto che bisogna elogiare lo sforzo «logorante» che stanno facendo i suoi calciatori «mentalmente cotti». «Abbiamo problemi veri di organico», ha ricordato. «Forse qualcuno non se lo merita», ha tuonato. «E quando dico qualcuno – ha aggiunto – mi riferisco a tutti».
Ma al netto della vittoria, dei messaggi da interpretare senza fare un grosso sforzo e delle intenzioni future del club, anche ieri a parlare più della tattica è stato il silenzio. Quello di uno stadio vuoto, di nuovo. Un rituale stanco che non smette mai di essere un messaggio politico. La protesta delle curve e della città intera ha ribadito un’evidenza che non si può mai ignorare: la rottura con la proprietà non è un dibattito, è un fosso. Chi, come il dg Gualtieri, era convinto di poter costruire ponti, ieri avrà capito forse definitivamente che servirebbe un miracolo. E quella scritta luminosa apparsa sul palazzo di via degli Stadi, visibile dalla tribuna numerata – “A Natale facci un regalo, paga i debiti e vavatinni” – dovrebbe far riflettere chi abita le stanze dei bottoni.
Crema: il terzo gol stagionale di Achour, ancora decisivo. Entra, cambia ritmo, risolve. In un attacco dove Beretta fatica e Mazzocchi continua a pagare dazio alla malasorte, è lui il filo che tiene insieme la rincorsa dei Lupi. Senza il suo colpo di ieri, oggi il Cosenza guarderebbe la classifica con occhi molto più spenti.
Amarezza: lo stadio vuoto che fa più rumore dei gol. E poi quei rigori di Garritano a Foggia: un dettaglio che oggi pesa come un rimpianto. Con quei tre punti in più, il Cosenza guarderebbe la capolista negli occhi. Ora deve accontentarsi di seguirla da lontano, sperando che a gennaio qualcuno si svegli.
Crotone, la svolta che non arriva mai
Ci sono partite che non spostano la classifica, ma smuovono le convinzioni. E quella del “Massimino” è una di queste. Non perché il Catania abbia dovuto certificare qualcosa (la squadra di Toscano l’ha già fatto da settimane) ma perché il Crotone di Longo cercava, quasi implorava, un indizio di rinascita proprio nella tana della capolista. Invece ha trovato una nuova sconfitta. Il Catania non ha sorpreso nessuno: ha condotto il gioco con autorevolezza, con quei “giri alti” che solo le squadre costruite per vincere possono permettersi. Il vantaggio di Corbari dopo un quarto d’ora è nato da una delle tante situazioni preparate, non da un episodio casuale. Il raddoppio di Lunetta, dopo la magia in verticale di D’Ausilio, è il marchio della capolista che sa quando colpire e come farlo. Tra una fiammata e l’altra, i siciliani hanno mostrano profondità, ordine, continuità. Sembravano giocare con la sicurezza di chi, più che vincere, sta dimostrando a sé stesso di essere già “oltre” il livello della categoria. E il Crotone? Presente, volenteroso, ma in perenne rincorsa. Murano abbandonato in un’archeologia offensiva senza supporto, Gomez costretto a vagare troppo distante dalla porta, un centrocampo che si accende a intermittenza proprio quando servirebbe comandare la scena. La squadra non affonda mai del tutto, ma nemmeno emerge. Lotta, sì, ma come chi sa che la corrente va in un’altra direzione. Longo, nel dopo gara, è stato onesto: «Abbiamo fatto bene nella parte iniziale». Parole che suonano come una diagnosi più che una giustificazione. Perché da lì, contro una squadra che fa dell’impenetrabilità casalinga un manifesto, la salita è diventata una parete verticale. E la sensazione, più che una sconfitta pesante, è quella di un test fallito nel momento in cui serviva un segnale forte. Non di risultato, ma di personalità. Sarà anche vero che il Catania è più forte – lo è – e che non tutte le sconfitte sono uguali. Ma quando aspetti una scintilla da settimane, persino una buona prestazione diventa un placebo che non cura niente. E infatti, più dei gol presi, pesa la consapevolezza che il cammino verso l’alto resta un sentiero ripido, quasi impervio. Longo stesso lo ha ammesso: pensare di rientrare è un «macigno».
Crema: non sarà una crema soffice né un dolce a sorpresa, ma qualcosa di buono il Crotone l’ha mostrato. A Catania non è crollato, non è sparito dal campo, ha tenuto ritmo e compattezza per ampi tratti. Se la classifica fosse meno severa e l’umore meno fragile, da questa gara si potrebbe persino ripartire con un filo di ottimismo.
Amarezza: la vera amarezza sta nel resto della storia: la sconfitta al “Massimino” certifica che anche quest’anno la scalata diretta è un miraggio e che l’orizzonte realistico si chiama “playoff”, con tutto il carico di incognite e delusioni recenti. E stavolta, a giudicare dal livello delle concorrenti, le avversarie sembrano più attrezzate, più affamate, più pronte. Il Crotone invece continua a restare lì, sospeso tra ambizione dichiarata e realtà insistente. (fra.vel.)
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