Data del referendum sulla separazione delle carriere, Conte chiede tempo
La legge sul referendum detta tempi e procedure

ROMA La raccolta di firme popolari per chiedere il referendum sulla separazione delle carriere, lanciata prima di Natale da un gruppo di 15 cittadini, potrebbe frenare il governo dal decidere ora la data del referendum sulla separazione delle carriere. Sabato il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano aveva annunciato che il tema sarebbe stato affrontato nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno. Ed il leader dei 5 stelle Giuseppe Conte, annunciando la propria adesione alla raccolta di firme, ha a sua volta messo in guardia l’esecutivo dai “tentativi di accelerare i tempi” della consultazione ai primi di marzo. La legge sul referendum (la 352 del 1970) detta tempi e procedure per questa consultazione, ma ci sono margini interpretativi. Dopo il sì definitivo del Parlamento e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della riforma costituzionale (avvenuta il 30 ottobre), ci sono tre mesi per raccogliere le firme o tra i parlamentari (un quinto dei membri di una Camera), o dei cittadini (500 mila). Una volta depositate in Cassazione questa ha 30 giorni per il via libera, che va subito comunicato al Governo e ai presidenti delle Camere. A quel punto il Presidente della Repubblica, “su deliberazione del Consiglio dei ministri”, entro 60 giorni indice con proprio decreto il referendum che deve svolgersi tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo all’indizione. Senonché i parlamentari hanno depositato le firme subito (il 5 novembre quelli del centrodestra, il 7 quelli del centrosinistra) e la Cassazione già il 19 novembre ha ammesso le richieste di referendum, senza far trascorrere tutti e tre i mesi. Di qui la mossa del governo di andare avanti con le procedure per convocarlo con l’idea di celebrarlo l’1 marzo (o in subordine il 15). Una data contestata dagli oppositori della riforma perché non consentirebbe una adeguata campagna referendaria. A mettersi di traverso sono stati 15 cittadini che il 20 dicembre hanno depositato in Cassazione un nuovo quesito (la formulazione è diversa), dichiarando di voler promuovere la raccolta delle 500mila firme popolari, usando la piattaforma informatica del ministero della Giustizia. Questa è partita il 22 dicembre e domenica ha superato quota 70 mila nonostante le festività natalizie. Anche Giuseppe Conte sui social ha annunciato di aver firmato invitando tutti a fare altrettanto, e lanciando un monito al governo affinché non acceleri sulla data delle consultazioni. In effetti per la maggior parte dei giuristi si dovrebbe ora attendere che passino i 3 mesi previsti dalla legge, perché se il Comitato promotore della raccolta raggiungerà il mezzo milione di adesioni, per legge avrà una serie di diritti, come quelli riguardanti gli spazi televisivi nella campagna referendaria, oltre al rimborso spese. Un analogo annuncio è stato fatto da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, mentre Deborah Serracchiani ha ammonito il governo a rispettare la raccolta delle firme e a non forzare i tempi. Anche il presidente del Comitato per il No formato dalle associazioni, Giovanni Bachelet, ha annunciato di aver apposto la propria firma digitale. Spetta ora al governo decidere se procedere comunque, rischiando il ricorso al Tar da parte dei 15 cittadini promotori della raccolta, minacciato dall’avvocato Pier Luigi Panici, o attendere il 30 gennaio e l’eventuale deposito in Cassazione delle 500mila firme.