REGGIO CALABRIA È di otto anni e otto mesi la pena definitiva inflitta dalla sesta sezione della Corte di Cassazione al boss di Gioiosa Jonica Antonio Ursino, condannato oggi in via definitiva per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Storico clan della Jonica, attivo già dagli anni ’70 quando gli Ursino venivano chiamati a partecipare alla costruzione del porto di Gioia Tauro e mantenevano un così ferreo controllo su Gioiosa tanto da imporre il lutto a tutto il paese alla morte del boss Vincenzo, con questa sentenza della suprema corte incassano una condanna definitiva per il reato di 416 bis.
Difeso, tra gli altri, dall’avvocato Guido Contestabile, Ursino era stato arrestato nell’operazione Mistero, scaturita dall’indagine che ha fatto luce sull’omicidio di Pasquale Simari, imprenditore del clan punito con la morte per aver tentato di riallacciare i rapporti con alcuni soggetti affiliati alla famiglia Cordì di Locri, storicamente contrapposta ai Cataldo, cui gli Ursino erano federati. In prima istanza, Ursino era stato condannato a dieci anni di carcere, comprensivi dello sconto di un terzo per la scelta del rito alternativo, dal gup di Reggio Calabria, mentre in secondo grado, nonostante il sostituto procuratore generale Francesco Mollace avesse invocato la conferma della condanna, la Corte d’Appello, aveva concesso al boss un lieve sconto di pena confermando però l’impostazione accusatoria. Di Ursino, ha parlato – e in dettaglio – il pentito Giuseppe Costa, boss indiscusso dell’omonima cosca di Siderno, di recente entrato nel programma di collaborazione, dopo diversi anni di reclusione. Il suo, per i magistrati, è un contributo importante, come importantissime sono state le dichiarazioni rese a carico di Ursino. Ma il boss non aveva un ruolo di peso solo nella limitata compagine della sua locale. Per Costa infatti, era uno dei pochi uomini di ‘ndrangheta a poter sedere al tavolo della commissione provinciale.
Alessia Candito
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