Ucciso a sprangate da uno scafista
REGGIO CALABRIA L’ultimo a sbarcare sarà l’uomo di nazionalità eritrea colpito a morte da uno scafista durante il trasbordo al largo delle coste di Tripoli. Forse ha avuto un alterco con il merc…

REGGIO CALABRIA L’ultimo a sbarcare sarà l’uomo di nazionalità eritrea colpito a morte da uno scafista durante il trasbordo al largo delle coste di Tripoli. Forse ha avuto un alterco con il mercante di uomini che sulla pelle dei disperati costretti a fuggire da fame e guerre calcola solo il proprio personale profitto, oppure semplicemente era troppo lento, goffo o spaventato da quelle manovre in mezzo al mare. “Nessuno ci ha saputo spiegare il perché. Gli altri naufraghi che abbiamo soccorso ci hanno raccontato che lo scafista lo avrebbe colpito alla testa con una spranga, facendogli perdere i sensi. Quando sono stati soccorsi, l’uomo era già morto”, dice il capitano di fregata Marco Bagni, al comando della Virgilio Fasan da poche ore sbarcata a Reggio Calabria con a bordo i 1373 migranti salvati da sei distinte carrette del mare, ma con la mente già al prossimo intervento. “Fra circa sei ore – calcola – faremo di nuovo ritorno nell’area delle operazioni nel Canale di Sicilia, dove già ci attendono per altri interventi”, afferma il capitano di fregata, forte dell’esperienza maturata nell’ultimo mese e divenuta routine. Dove le carrette del mare non si fermano, le partenze si susseguono e le tragedie – quelle che si arrivano a conoscere – non si contano. Chi ce la fa, come i 1373 migranti oggi sbarcati a Reggio Calabria, porta sul viso, sul corpo, nell’anima i segni pesanti della traversata in mare, come dei tanti giorni passati sulle coste della Libia o dell’Egitto ad aspettare il proprio turno per sfidare quel Mediterraneo che forse mai avrebbero immaginato così minaccioso, così crudele. Lo raccontano il viso ustionato della bimba siriana che – stremata – attende il suo turno per un ricovero in ospedale, le mani distrutte da sole e salsedine dell’uomo che stringe la culla dell’ultimo nato, gli occhi increduli del ragazzo palestinese, nato e cresciuto da profugo in Siria e oggi obbligato dalla guerra e dalle bombe a scappare dalla terra che lo aveva accolto, nella voce del ragazzino di poco più di quindici anni che con orgoglio dice al funzionario di protezione civile che gli si rivolge a gesti “Lei con me può parlare inglese”, lasciandolo muto e interdetto. Nazionalità e lingue si incociano e si confondono sul molo, ma le storie sono simili.
E se non c’è siriano che non ricordi quasi con struggimento gli anni in cui le guerre erano problemi di altri, storie di altri lette sul giornale o viste la sera in tv, per chi arriva dal triangolo della miseria formato da Etiopia, Eritrea e Sudan il passato sono fame e paura che sfidando il mare hanno intenzione di cancellare dal proprio futuro. In molti hanno familiari che li attendono in Nord Europa, i più sbarcano con la consapevolezza che l’Italia sarà solo la tappa di un lungo viaggio, ma c’è anche chi legge con interesse le brochure informative che sigle come l’Unhcr – l’organizzazione internazionale per i rifugiati targata Onu – e Save the children – rete di associazioni umanitarie nazionali facenti capo a International Save the Children Alliance, organizzazione non governativa con sede a Londra – hanno messo a punto in varie lingue – inglese, francese, arabo e tigrino – per informare i rifugiati dei propri diritti e delle procedure per richiedere asilo.
Nel frattempo, sul molo, l’ormai rodata macchina dei soccorsi va avanti a pieno ritmo e senza intoppi, nonostante l’inutile nervosismo delle forze dell’ordine chiamate a presidiare l’area. I primi dei 1373 migranti – 1.014 uomini, 200 donne e 159 minori – a sbarcare sono i migranti che hanno necessità di ospedalizzazione: donne incinte che hanno accusato il lungo viaggio per mare, anziani e bambini con vistose ustioni, una cinquantina di uomini che mostrano i sintomi della scabbia. Una malattia che facilmente si sviluppa in caso di malnutrizione e pessime condizioni igieniche, ma di certo non può essere all’origine delle presunte epidemie – assicurano i sanitari – con cui qualche incendiario per ignoranza o malafede sta terrorizzando i reggini. Concluso lo sbarco dei casi più urgenti, gli altri migranti vengono accompagnati a terra a scaglioni, sottoposti ad accurati controlli sanitari e smistati sugli autobus che li accompagneranno ai centri di accoglienza cui sono stati destinati. Solo in duecento rimarranno a Reggio Calabria, dove gli impianti sportivi del Palloncino e dello Scatolone fin dall’inizio della stagione degli sbarchi vengono sfruttati per dare riparo ai tanti disperati scampati al mare, mentre la maggior parte dei migranti è destinata ai centri fuori regione, primo fra tutti Milano.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it