REGGIO CALABRIA «Il Macrì non è l’uomo prestato alla mafia per il soddisfacimento momentaneo di suoi interessi politici, occasionalmente strumentale e idoneo ad assecondarne le strategie, rafforzando il potere del gruppo, è piuttosto colui che ne condivide ideologie, spazi di vita e di tempo libero, momenti riservati». È un ritratto che non lascia spazio a dubbi sulle ragioni che hanno portato il pm Antonio De Bernardo a contestare all’ex presidente del consiglio comunale di Siderno il reato di associazione mafiosa, quello che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare “Morsa sugli appalti pubblici” con cui la Dda reggina non solo ha messo a nudo gli assetti della società ndranghetistica di Siderno dominata dal clan Commisso, ma ha fotografato in maniera impietosa un’amministrazione piegata ai voleri, alle esigenze come alle personali idiosincrasie del mastro Giuseppe Commisso e dei suoi accoliti.
Politica in ostaggio
Un vero e proprio atto di signoraggio – che permette ai clan di scegliere i candidati, mettere insieme liste, fare e disfare consigli comunali – a cui la classe politica locale non si oppone. Al contrario, nel rapporto fra ndrangheta e politica, è la seconda a offrirsi alla prima pur di raggiungere una poltrona. Scrive il gip Olga Tarzia: «Nel contesto mafioso di Siderno si constata che tale rapporto trova realizzazione, a partire dal “contatto” iniziale, non più attraverso i “classici” tentativi di condizionamento della politica compiuti su iniziativa degli uomini d’onore, bensì a seguito di una lunga sequela di pressanti richieste di appoggio elettorale da parte di chi (candidati o aspiranti tali), bussando alla porta del Commisso (il “Mastro”) o di altri mafiosi e assumendo l’iniziativa per creare il contatto, finisce per ipotecare la sua futura attività pubblica a favore della ‘ndrangheta». È presso la lavanderia Ape Green – vero e proprio ufficio del “mastro”, divenuto fonte inesauribile di informazioni per investigatori e inquirenti che proprio lì sono riusciti a piazzare una cimice – e non nelle sedi di partito che si scelgono i candidati per le consultazioni elettorali e le liste che dovranno appoggiarli. È lì, e non nel civico consesso, che si approfondiscono i motivi della crisi che ha portato alla caduta della giunta comunale e se ne svelano le strategie di sottofondo. Ed è dunque lì che Macrì sente il dovere di andare a chiedere permesso.
«Posso candidarmi Pepè?»
«Ah… senti Pe’, qua ho i consensi da tutte le parti, mi vorrei candidare… ah Peppe.. Mi aiuti, sì?… cittu, cittu… Io per il Pdl faccio …(inc.) la lista del presidente – dice Macrì, spiegando al vecchio boss che le liste saranno quelle di Scopelliti – …il presidente… il sindaco di Reggio, fa tre liste, in una delle tre liste ci sono io… ancora non so in quale, ma sempre… quasi, quasi, mi candiderei». Vuole essere sicuro di vincere Macrì o comunque di ottenere «una buona affermazione che mi guardano bene… altrimenti non mi conoscerà mai nessuno a livello nazionale, capisci?», spiega al Mastro, per poi aggiungere «… pure se rimango fuori per pochi voti mi fa sempre bene, perché sanno che c’è uno che i voti ce li ha… se invece io glieli porto sempre ad uno e all’altro, rimango sempre nell’ombra e non cresco mai, sei d’accordo?». Voti che – afferma – nella zona tirrenica reggina avrebbe già garantiti – «Nella piana ho da tutte le parti… nella piana sono sicuro… ho certi paesi, Laureana ho voti, Santa Cristina, qualcosa…», confida al mastro – ma che potrà considerare davvero sicuri solo se identificato come candidato dei Commisso. Per questo Macrì chiede luce verde per la candidatura al “Mastro” e che questo avallo venga trasmesso «agli amici della Piana». Una proposta che inizialmente ottiene il via libera del “Mastro”, ma finirà per soccombere tanto di fronte alle scelte di partito – dal Pdl arriverà infatti anche l’indicazione di Cosimo Cherubino, oggi alla sbarra per associazione mafiosa nel processo “Falsa politica” – tanto di fronte al caos che le diverse ambizioni elettorali generano all’interno del clan.
Candidatura naufragata e guai per Macrì
«Non ho avuto nessun contatto con Scopelliti, non l’ho visto una volta, solo per telefono mi diceva che mi candida che mi deve candidare, mi deve candidare, mi deve candidare, nel momento che hanno candidato a Cherubino… li ho chiamati, io li ho chiamati e gli ho detto: guardate è inutile che ci candidiamo tutti nello stesso paese e nello stesso partito, io appoggio a Cherubino non vi preoccupate per me… avete messo a Cherubino a me mi sta bene, se non lo mettevate mi candidavo io», dice Macrì agli uomini del clan intercettato dalle cimici degli investigatori. A frenare le sue ambizioni in realtà non è la comune provenienza territoriale o di partito, quanto piuttosto l’essere entrambi nell’entourage politico riferibile ai Commisso, sotto la loro ala cresciuto e oggi al loro diretto servizio. Un servizio che per almeno un ramo della famiglia, Macrì non ha svolto troppo bene. La sua carriera politica si intreccia infatti con quel crollo del consiglio comunale, orchestrato secondo l’inchiesta “Falsa Politica” dal mastro in persona, ma che non tutti nella famiglia Commisso hanno gradito, a partire dall’anziano boss Antonio Commisso e dal suo pupillo e nipote, Domenico, che di quella giunta era assessore.
Vincolo di mandato
Inizialmente scelto come candidato del clan, Figliomeni avrebbe gestito in maniera troppo indipendente la carica di sindaco per cui era stato scelto, come i conseguenti affari e appalti. «Lui è andato là e ha fatto quello che cazzo ha voluto ed ha messo a tutti sotto i piedi, queste non sono cose giuste», si lascia scappare il “Mastro”, forse non del tutto estraneo alla decisione di “licenziarlo”. Ma a fare le spese del crollo di quel consiglio comunale sarà proprio Macrì, destinatario della furia e degli strali dell’anziano patriarca Antonio, così certo della sua fedeltà all’organizzazione da leggere quella che immagina un’autonoma decisione come un affronto personale. Non a caso, proprio su quel voto di sfiducia, dirà al “Mastro”: «Ti sto dicendo… ti sto dicendo che si è interessato Totò lui ha portato il genero e il Cherubino…(inc.)… di Siderno Superiore …(inc.)… non lo doveva fare!… tu mascalzone, vuoi fare un movimento e neanche me lo hai detto?… tempo addietro ti aveva avvertito di qualcosa?». Per l’anziano patriarca Macrì è un uomo del clan, non ha facoltà di scelte politiche autonome, non può decidere in base alle proprie valutazioni personali. Deve rendere conto o in caso contrario, accettarne le conseguenze. Incluse le peggiori. C’è tutto il peso criminale dei Commisso nelle velate minacce che il patriarca Antonio rivolge al politico, del quale non solo né comprende né condivide il comportamento, ma che sospetta aver giocato una partita tutta sua. «Avete una bella famiglia ringraziando a Dio, avete una bella posizione, voi avete solo bisogno di portare pace ai figli vostri è giusto?… e di non seminare squilibri… di questo avete bisogno!… che si vede che ne avete seminato… di queste cose avete bisogno, avete una bella amicizia, vi rispettano tutti… se siete entrato in questo gioco vuol dire che.. insomma… qualche dubbio ce l’ho sempre io… sapete perché ho i dubbi?… che mi avete detto: “mi hanno promesso la candidatura alla provincia e dobbiamo aiutare».
La disponibilità di Macrì
Nei confronti del clan, Macrì ha un vero e proprio “vincolo di mandato” che – sottolinea il gip – si coglie nei tentativi del politico di giustificarsi – «Mi sono sbagliato che non ho chiamato a voi prima di mettere la firma là sopra? questo qua forse è stato un mezzo sbaglio, ma non pensavo che a voi vi interessava tanto…» – come nella disperata richiesta di mediazione con c
ui si presenterà dal “Mastro” in persona. Del resto lo stesso Macrì si sente parte di quel contesto, tanto per parentele – il figlio, ricorda più volte con orgoglio nelle conversazioni intercettate, sposerà la figlia di Pietro Commisso – come per frequentazione con personaggi criminali di spessore, come gli Spagnolo di Ciminà. In passato, non si è mai tirato indietro quando come presidente dell’assemblea sidernese era necessario garantire corsia preferenziale a qualche provvedimento, come quelli chiesti, calendarizzati e ottenuti in favore di Rocco Carlo Archinà, suocero di Cosimo Commisso, e per il futuro Macrì – assicura il “Mastro” – non lesinerà il proprio appoggio a Riccardo Ritorto, il nuovo candidato sindaco scelto dal clan: «Faranno una lista…che me lo hanno detto a me…il dottore Macrì è con noi». Una sicurezza che al boss Commisso sembra venire da quello che sembra a tutti gli effetti un rapporto confidenziale.
Casualità che pesano
Eppure, stando a quanto a sostenuto dallo stesso Macrì, al secolo dottore del paese, lui con i Commisso – dei quali non sarebbe stato a conoscenza di trascorsi e problemi giudiziari – avrebbe avuto solo quel rapporto di mera «cordialità» e «conoscenza» che si può instaurare fra medico e paziente. Una versione che fa a pugni con la presenza dell’ex presidente del consiglio comunale sidernese a più di una tavolata che ha visto presenti i Commisso e il loro entourage. Incontri che il pm De Bernardo ha contestato a Macrì quando ancora era un semplice indagato del procedimento “Falsa politica”, senza riuscire a farlo recedere dalla versione ufficiale, secondo la quale l’ex presidente del consiglio comunale con gli uomini del clan non avrebbe mai avuto «alcun tipo di frequentazione». Un rapporto superficiale dunque, che però non avrebbe impedito al politico sidernese di accompagnarsi al “Mastro” Giuseppe Commisso per un viaggio in Argentina – «ha insistito per venire con me», ha sostenuto Macrì – destinazione Buenos Aires, dove «casualmente» nei medesimi giorni ci sarebbero stati anche esponenti di quei rami della famiglia Commisso trapiantati in Canada e New York. Casualità che oggi sono divenute ulteriori prove di quel rapporto consolidato con il clan che oggi è alla base del pesantissimo capo di imputazione per associazione mafiosa contestato all’ex presidente del consiglio comunale.
a.c.
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