Catanzaro ha un futuro?
Può una città rimasta colpevolmente al palo, senza imboccare la via dello sviluppo, riappropriarsi del tempo perduto? Possono i suoi abitanti uscire dal letargo parolaio e far sentire forte e chiar…
Può una città rimasta colpevolmente al palo, senza imboccare la via dello sviluppo, riappropriarsi del tempo perduto? Possono i suoi abitanti uscire dal letargo parolaio e far sentire forte e chiaro che si sono stancati di subire un sistema politico-amministrativo pressoché nullo? Può Catanzaro ribellarsi e imporre, con la forza della sua storia, della sua cultura, del suo impegno civile che venga invertita quella tendenza e pretendere che le si riconosca, finalmente, il ruolo di capoluogo della Calabria? Naturalmente pensiamo che si possa ottenere, che sia possibile, ma a condizione che il processo sia preceduto da una forte presa di co- scienza collettiva sorretta dalla determinazione di far finalmente valere i propri diritti sia per quanto riguarda il rapporto interno cittadini-amministratori, che quello esterno alla città. Si dimostrerebbe così, con i fatti, che ci si opporrà a qualsiasi ulteriore tentativo di essere depredati dei “beni” e degli uffici e che si rivendica il diritto di rispondere ai subdoli tentativi di emarginazione o peggio sopraffazione politica e sociale affinché a Catanzaro sia riconosciuto il di- ritto di rivendicare un piano di sviluppo organico attraverso il quale venga restituita quella centralità e quella funzionalità proprie di una sede amministrativa centrale.
Le scelte operate in questi ultimi anni, seppure necessarie, non sempre hanno fatto il paio con gli interessi della città capoluogo che ha dovuto subire interferenze,quasi sempre indebite, dalla forza condizionante. Il pensiero va all’area sulla quale è stato costruito l’edificio della Regione, al policlinico universitario, alla nuova stazione delle Ferrovie dello Stato. Insediamenti importanti che andavano realizzati, ma mal supportati da un sistema viario che ne consentisse una diversa e migliore fruibilità. Sarebbero state sufficienti alcune opere per rendere quelle strutture organiche con la città senza aggravare la sua “emarginazione” e il suo isolamento. Una strada di collegamento veloce diretta tra il centro storico e il policlinico e la stazione ferroviaria, ma anche la trasformazione di un edificio pubblico (il pensiero ritorna all’ex ospedale militare) in casa dello studente in modo da consentire a migliaia di giovani di abitare in città, avrebbero determinato per Catanzaro un futuro migliore. Siamo, infatti, tra coloro che sostengono che si facciano vivere gli studenti nel centro storico, piuttosto che trasferire una facoltà universitaria.
Sarebbe sufficiente una diversa e più approfondita coscienza delle possibilità di ciascuno per determinare una severa azione propulsiva verso l’amministrazione pubblica che, piuttosto di considerare la città come un bene di tutti, si lascia sorprendere frequentemente da episodi discutibili e di scarso interesse sociale. Prendere coscienza dei problemi della comunità e chiedere che siano risolti costringerebbe coloro che si propongono a rappresentare i cittadini a rimboccarsi le maniche e lavorare seriamente per una o due opere e pensare, nel frattempo, a quelle che si potrebbero attuare subito dopo. Se non si entra in un’ottica di questo tipo, se si continua a favorire ed alimentare il sistema della clientela come unica possibilità percorribile, secondo una antica educazione, per ottenere quanto spetta di diritto non si farà molta strada e si lascerà che altri, che più sentono il senso dell’appartenenza, continuino ad arraffare tutto ciò che c’è da spartire. Questo è – e resta – l’unico modo per dimostrare attaccamento e sensibilità verso la città, sicuramente più di quanto ne possono determinare le belle parole o le lodevoli intenzioni, quando purtroppo restano tali.
Cosa c’è, dunque, da fare? Se proprio i catanzaresi riuscissero a coniugare la passeggiata sul corso con una assunzione di responsabilità dei problemi della città, e avvertissero finalmente l’importanza di far sentire il fiato sul collo a chi ha chiesto i voti per amministrare. Se si chiedesse puntualmente conto dell’attuazione dei programmi enunciati e dei tempi di realizzazione, allora potremmo stare certi che la strada diventerebbe agevole per invertire il sistema e scommettere sul futuro. Ma finché le parole sul mercato continuano ad andare a zero centesimi, non possiamo che fare i conti con una classe politica parolaia, povera di idee, permeabile agli intrighi di Palazzo. Ecco da dove nasce la necessità, non più procrastinabile, di pretendere da chiunque si proponga al governo di Palazzo De Nobili, o che sia già seduto su uno scranno, rispetto (stavo per aggiungere sacro rischiando di apparire blasfemo) verso la società che rappresenta impegnandosi con serietà nell’affrontare e risolvere i problemi della città. L’assetto politico va verificato, va instaurato un confronto serio soprattutto sul futuro della comunità amministrata, dimostrando, nei fatti, dedizione ai bisogni della gente; convertirsi a un progetto di rinnovamento del modo di gestire la cosa pubblica, impegnandosi a realizzare un sodalizio – quello, appunto, del consiglio comunale – fatto di analisi e spirito di servizio.
Ricordo un passo di un articolo letto su Repubblica per commemorare Berlinguer a 30 anni dalla morte: «Non politicastro e neppure politicone, tanto meno politicante; ma persona capace di vivere la politica nella sua accezione più alta, nel significato originario, di organizzazione delle energie degli uomini, di scienza dello Stato, di governo della società». Rassegnarsi all’idea di una Catanzaro irredimibile equivale ad alimentare una sorta di razzismo che condanna i suoi cittadini ad un degrado perpetuo rinunciando alla speranza di una vita migliore se non per sé stessi, per i loro figli e per le generazioni che verranno.
*giornalista