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Colpo ai Pesce-Molè: 13 arresti, sequestrati beni per 56 milioni

REGGIO CALABRIA I servizi di import-export e di trasporto merci per conto terzi del porto di Gioia Tauro erano in mano alla cosca della ‘ndrangheta dei Pesce. È quanto emerge dall’inchiesta de…

Pubblicato il: 21/10/2014 – 5:41
Colpo ai Pesce-Molè: 13 arresti, sequestrati beni per 56 milioni

REGGIO CALABRIA I servizi di import-export e di trasporto merci per conto terzi del porto di Gioia Tauro erano in mano alla cosca della ‘ndrangheta dei Pesce. È quanto emerge dall’inchiesta della guardia di finanza di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 13 imprenditori. L’operazione, denominata “Porto franco” ha portato anche al sequestro di 23 società e beni per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro. Effettuate oltre 50 perquisizioni tra Calabria, Veneto, Lombardia. I reati contestati sono associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale, attraverso l’utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, tutti aggravati dalle modalità “mafiose”. 

Le indagini hanno avuto inizio dopo alcune verifiche fiscali nei confronti di imprese che operano nel settore dei trasporti e dei servizi per il porto di Gioia Tauro. I finanzieri hanno accertato che le aziende riciclavano i proventi delle estorsioni e, attraverso false fatture, creavano la liquidità di fondi che poi venivano corrisposte a esponenti delle cosche dei Pesce e dei Molè. In particolare le cosche avevano organizzato un consistente riciclaggio di denaro attraverso la simulazione di acquisto e vendita di carburante. Per questa attività venivano emesse delle false fatture con le quali si creano i fondi che venivano destinati agli esponenti della cosca. 

L’inchiesta, coordinata dalla locale Procura della repubblica, direzione distrettuale antimafia, ha portato ad accertare l’esistenza di rilevanti infiltrazioni delle cosche nell’indotto del terziario operativo nell’area portuale della Piana di Gioia.

Da quanto è emerso in sede di indagine, la cosca Pesce importava merce contraffatta dalla Cina. La guardia di finanza ha scoperto anche un intreccio tra alcune imprese riconducibili alla cosca e delle cooperative che operano a Verona. Le cooperative, in particolare, avrebbero creato uno schermo giuridico alle imprese le quali, una volta esternalizzati i propri lavoratori e i servizi, hanno continuato a operare non preoccupandosi del pagamento degli oneri erariali. Le cooperative hanno fatturato prestazioni di servizi simulando inesistenti contratti e consentendo una ingente evasione dell’Iva. Le cooperative si sono, di fatto, rivelate delle società inesistenti.

 

«È LA NUOVA MAFIA»

«Dall’indagine della guardia di finanza emerge un modo nuovo di fare mafia, evitando allarmismi sotto il profilo dell’ordine e la sicurezza pubblica». Lo ha detto il Procuratore di Reggio, Federico Cafiero de Raho, nel corso della conferenza stampa per illustrare gli esiti dell’operazione. È emerso da alcune intercettazioni durante i colloqui carcerari come Francesco Pesce “testuni”, sollecitasse i suoi interlocutori a trasformare la vecchia struttura criminale della “famiglia”, in una nuova organizzazione capace di introdursi con ogni mezzo negli affari leciti seppure con i metodi tipici della ‘ndrangheta. Tutto questo con una totale trasposizione delle consuetudinarie modalità mafiose nel mondo dell’imprenditoria falsando il libero mercato e la leale concorrenza tra imprese».

«I proventi degli affari illeciti – ha sottolineato il colonnello della guardia di finanza, Alessandro Barbera – venivano equamente ripartiti ai tre rami della “famiglia” Pesce, rappresentati da Vincenzo Antonino e Giuseppe Pesce». Il procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza ha evidenziato che «l’indagine dimostra come la cosca Pesce sia riuscita a infiltrarsi nel tessuto economico relativo ai servizi di supporto delle attività principali del porto di Gioia Tauro, costruendo una rete di soggetti compiacenti in grado di ripulire i proventi illeciti. I rappresentanti legali delle aziende coinvolte, come alcuni distributori di carburante, erano determinanti nel consentire ai Pesce-Molè di creare disponibilità di ingenti risorse liquide grazie alla contabilizzazione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti».

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