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AEMILIA | Ombre sul Comune di Mantova

REGGIO CALABRIA Sono ombre lunghe, che portano dritte al clan di Nicolino Grande Aracri, quelle che si allungano sull’amministrazione di Mantova. Al vaglio degli investigatori ci sono infatti atti …

Pubblicato il: 04/02/2015 – 11:27
AEMILIA | Ombre sul Comune di Mantova

REGGIO CALABRIA Sono ombre lunghe, che portano dritte al clan di Nicolino Grande Aracri, quelle che si allungano sull’amministrazione di Mantova. Al vaglio degli investigatori ci sono infatti atti e documenti sequestrati all’esito di una perquisizione in Comune e negli uffici del sindaco, che riguardano una lottizzazione in un’area vincolata dal ministero dei Beni culturali, ma su cui l’imprenditore Antonio Muto avrebbe voluto edificare un albergo e duecento villette.

 

OMBRE SULL’AMMINISTRAZIONE
Un progetto cui la precedente giunta di centrosinistra guidata da Fiorenza Brioni si era opposta e che la giunta di centrodestra ha ereditato, ma che all’attuale sindaco, il crotonese Nicola Sodano di Forza Italia, è costata un avviso di garanzia per corruzione. Insieme a lui, risulta indagato anche l’ex senatore di Forza Italia, Luigi Grillo, scarcerato appena un mese fa dopo essere stato coinvolto nell’inchiesta sulle tangenti all’Expo di Milano. Nonostante il riserbo che ancora blinda i particolari dell’inchiesta in attesa del ricorso della Procura di Brescia contro la decisione del gip del tribunale di Mantova, che non ha convalidato il fermo emettendo però contestualmente un’ordinanza di custodia cautelare, iniziano a emergere particolari inquietanti sul filone lombardo dell’inchiesta Aemilia. Sebbene solo Giuseppe Loprete, muratore di Mesoraca che vive a Borgo Virgilio, e Paolo Signifredi, affarista parmigiano, siano rimasti in carcere, mentre per Antonio Muto, i due Grande Aracri, Salvatore e Rosario, Gaetano Belfiore, il fidanzato della nipote di “Mano di gomma”, l’imprenditore del ferro veronese Moreno Nicolis sono stati spediti ai domiciliari, proprio fra questi ultimi ci sarebbero i soggetti con ruolo di maggior peso.

 

L’IMPRENDITORE DEI CLAN
Primo fra tutti, l’imprenditore Antonio Muto. Per i magistrati, l’uomo è al servizio del progetto economico del boss Nicolino Grande Aracri che dalla Calabria per anni ha deciso appalti e subappalti nella provincia lombarda. Di Muto, su cui pende anche l’accusa di corruzione in atti giudiziari per vicende su cui non c’è ancora stata discovery, i magistrati scrivono che «è certamente uno dei più affermati imprenditori edili operanti in provincia di Mantova, protagonista – si legge nell’ordinanza – di una rapidissima ascesa professionale e sociale, grazie alla quale ha intessuto una fitta serie di rapporti con numerosi amministratori locali e altri rappresentanti delle istituzioni (con i quali per il vero, ha intrattenuto anche plurimi rapporti illeciti come emerso nel corso dell’indagine). Anche per questo motivo Muto Antonio è divenuto la figura di riferimento nell’ambito della comunità crotonese che si è insediata nel mantovano, un vero e proprio leader, tanto da avere coniato egli stesso il motto ”non si muove foglia che Muto non voglia”». Uno shock per la sonnolenta società di quella bassa Lombardia che confina con l’Emilia, che fino a qualche tempo fa si ergeva a territorio vergine dalle infiltrazioni mafiose da tempo svelate a Milano e nel suo hinterland. Ma tale non è.

 

LA CELLULA EMILIANA
A indicarlo – e a far partire indagini e approfondimenti – sono stati una serie di incendi e danneggiamenti iniziati nell’ottobre 2010 e finiti nello stesso mese dell’anno successivo, che hanno preso di mira auto private e mezzi di cantiere di imprenditori tutti attivi nell’edilizia, un campo – si legge nelle carte di indagine – da tempo caratterizzato dalla massiccia presenza di imprese calabresi, o meglio dell’area crotonese, principalmente di Cutro e Mesoraca. Una scia di delitti che si caratterizza – sottolineerà il gip – per «il particolare contegno di omertà che hanno tenuto non solo le vittime, ma anche le istituzioni comunali».

 

LE DENUNCE CHE INNESCANO L’INDAGINE
Una cappa che si rompe solo un anno dopo, nel settembre 2014, quando il geometra Matteo Franzoni, di Curtatone e il mediatore immobiliare Giampaolo Stradiotto di Porto, si presentano ai carabinieri per denunciare che Antonio Muto, loro socio in Ecologia e Sviluppo, e Antonio Rocca, imprenditore edile cutrese di stanza a Virgilio, hanno imposto loro di impiegare nei cantieri che stanno allestendo a Curtatone e a Campitello prima una ditta di Reggiolo, la Eurocostruzioni, di un certo Saverio Manna, e poi una di Cremona, la Magisa, che fa capo a un altro Muto, Salvatore, di Cutro. Un diktat che arriva direttamente dal boss Nicolino Grande Aracri, che proprio in quei mesi ha riconquistato la libertà dopo una lunga detenzione. Uscito di cella – ipotizzano in breve – il boss di Cutro si era immediatamente attivato per riprendere il controllo delle attività imprenditoriali in quella area tra l’alta Emilia e la bassa Lombardia su cui da tempo aveva imposto la sua egemonia criminale, anche in ragione della massiccia presenza di soggetti di origine cutrese.

 

RADICAMENTO STORICO
Un dato che nel corso del tempo anche diversi collaboratori hanno fornito. Ne aveva parlato in tempi non sospetti Francesco Fonti, il quale nel corso delle sue deposizioni aveva indicato che già nel 1984 la famiglia Romeo di Bovalino aveva autorizzato i Dragone a costituire una “locale” in Reggio Emilia. Una cellula che sarebbe passata sotto il diretto controllo di Nicolino Grande Aracri, quando il boss avrebbe rovesciato l’egemonia dei Dragone, sotto la cui ala era cresciuto a livello criminale, per imporre la sua egemonia su Cutro, come sugli insediamenti del clan al nord. Circostanza questa confermata da un altro pentito, Angelo Salvatore Cortese, per anni braccio destro di Nicolino Grande Aracri in persona. Anche in pubblica udienza, il collaboratore confermerà che il boss di Cutro aveva a disposizione due ‘ndrine distaccate al nord, una Cremona ed una a Reggio Emilia, entrambe dipendenti dalla casa madre, ma al contempo dotate di una certa autonomia.

 

STRATEGIA IMPRENDITORIALE DECISA A CUTRO
Una presenza che indagini e attività tecniche disposte sulla base delle denunce di Stradiotto e Franzoni non faranno che confermare anche a Mantova. In città e nel suo hinterland – scopriranno gli investigatori – esiste ed è attiva una cellula ‘ndranghetista di sicura matrice cutrese che, pur mantenendo dei chiari collegamenti con la “casa madre”, ha acquisito un rapporto di indiscussa autonomia da essa e in tale veste ha infiltrato la realtà imprenditoriale locale, anche grazie al clima di omertà che ha saputo generare attorno a sé. Nel tempo, grazie a soggetti come Antonio Rocca e Salvatore Muto sono riusciti a imporre le proprie ditte nei maggiori cantieri della zona, secondo una strategia concordata con gli uomini del clan di Cutro lì residenti, ma anche nel corso di veri e propri summit convocati in Calabria alla presenza di Nicolino Grande Aracri. A coadiuvarli negli aspetti tecnici e finanziari, relativi al passaggio di quote o alla liquidazione delle società edili – emerge dall’indagine – è un affarista già noto alle cronache giudiziarie.

 

L’AFFARISTA PARMIGIANO AMICO DI CIANCIMINO E GRANDE ARACRI
Parmigiano di nascita, Paolo Signifredi, già condannato in passato per riciclaggio, nel maggio 2013 viene arrestato, insieme a Massimo Ciancimino, il figlio del’ex sindaco di Palermo Vito, per associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale, ma nell’inchiesta della Procura di Brescia emerge come professionista alle dirette dipendenze della cellula lombarda di Nicolino Grande Aracri. Se gli uomini del clan impongono con la forza la propria presenza nei cantieri, spetta a lui – che più di una volta viene sorpreso ai summit del clan – formalizzare i passaggi burocratici che permettono ai cutresi di cannibalizzare imprese, aziende e lavori. È il caso, ad esempio della Ecologia e Sviluppo, cui sono stati imposti fornitori, aziende in subappalto, nonché ingiustificabili magg
iorazioni sui prezzi concordati per i lavori.

 

LE CURIOSE DIMISSIONI DEL CAPOGRUPPO DI FORZA ITALIA
Su pressione di Antonio Muto, i soci di maggioranza dell’azienda sono stati infatti costretti a pagare 50mila euro alla Magisa, una delle ditte che i clan avevano imposto. Liquidità di cui i due soci non dispongono, ma che sii impegnano a corrispondere consegnano a garanzia sei assegni bancari postdatati per la somma di 40mila euro e due per la somma di 10mila euro tratti dal conto corrente di “Ecologia & Sviluppo” acceso alla filiale di Montanara di Mps. A staccare quegli assegni sarà l’attuale capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale, Carlo Acerbi, all’epoca amministratore di “Ecologia & Sviluppo” – oggi non indagato – che però, dopo quell’operazione si dimette rapidamente dalla carica, recidendo bruscamente ogni legame con l’impresa. Una circostanza che oggi il politico giustifica con le difficoltà economiche della società. Ma su cui oggi gli inquirenti sembrano volerci vedere chiaro.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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